Banalità assoluta iniziare qualsiasi discorso con una frase fatta, ma è obbligatorio non dare mai giudizi affrettati, durante il primo approccio verso un nuovo disco (soprattutto se di una band che vuole far ballare con il rock). Ascoltando i primi 3 minuti dell’ultimo album dei The Rapture (uscito il 18 Agosto per DFA), un ascoltatore snob e superficiale potrebbe pensare che anche loro si sono fatti piegare dalla Synth-Mania che dilaga in America dopo lo strapotere dell’electro europea. Grattuggie e schitarrate mescolate assieme per far ballare chi si è sempre sentito superiore alla disco canonica. Errore, grazie al cielo.
Se “Echoes” era stato un disco rock danzereccio, “In The Grace Of Your Love” cerca di attingere ai generi più significativi della scena newyorkese post anni zero, senza scimmiottarne nessuno. Si passa dall’ottimo funk della title track (in cui si fa sentire la collaborazione in consolle di Philippe Zdar, metà Cassius), a riusciti pezzi prettamente disco che strizzano l’occhio al sound (apprezzatissimo) del primo Riva Starr (“Come Back To Me”) , dal Surf Rock (“Roller Coaster”), all’ R’n’B fatto di piano, sax e virtuosismi vocali (“It Takes Time To Be A Man”). Un calderone per nulla confusionario, però: l’inconfondibile chitarra di “Get Myself Into It”, marchio di fabbrica della band, si sente e si apprezza, addomesticata dai synth e dalla cassa dritta.
Questa volta, la tanto millantata “evoluzione”, bestia nera di ogni artista, c’è stata. Ed è personalissima e nemmeno troppo concettuale (abituati come siamo dagli artisti alla ricerca febbrile del suono mai sentito, effettatissimo e campionato per 8 minuti). Un disco easy, ma per nulla banale. whoo alright yeah uh huh!”.