Immaginate un bambino che si strugge per non avere ancora raggiunto l’agognata statura di 150 cm, imprescindibile requisito per accedere al Katun di Milabilandia e a tutta una serie di attrazioni “da grandi”. Figuratevelo mentre si misura ossessivamente, mese dopo mese, facendo dei segni sul muro.
Se quel bambino fosse una band probabilmente sarebbe gli A Classic Education.
Perché rimane difficile spiegare altrimenti il percorso fatto di una miriade di piccoli passi cui la band emiliana ci ha abituati sino ad oggi.
E con “oggi” intendiamo, ovviamente, il 25 ottobre, data di uscita mondiale del loro sospirato disco di esordio, Call It Blazing. Preceduto da 3 Ep e da svariati singoli, romanticamente editi per lo più su vinile, questo disco è atteso come il royal wedding e ci si sente quasi dei privilegiati a poterlo ascoltare con così largo anticipo.
Così si ritaglia il momento opportuno, si infilano le cuffie e si dà inizio al più concentrato degli ascolti. E subito si inciampa in un dejavù sonoro, ma non deve stupire, perché la breve, intensa e distorta Work it out ,mentre ci cala nelle atmosfere lo-fi del disco, sfuma dritto dritto in quella Baby it’s fine che il gruppo aveva scelto come preview lo scorso agosto. Il brano è malizioso ed accativante, come si conviene ad un apripista coi fiocchi.
Fin qui tutto bene, se non fosse che scorrendo la track list, i dejavù si moltiplicano, fino a realizzare che di brani inediti, in un disco di 12 tracce, ce ne sono 7: questo perché, tolte le due preview rilasciate sul sito della band, nel corpo dell’album trovano spazio ben 3 tracce estratte da Hey there stranger.
Non stiamo certo parlando di brani che rovinano il corpo del disco che, al contrario, nel suo complesso è davvero un bel disco. Appare, però, come una piccola mancanza di coraggio, come a dire: “Hey, siamo quelli di Gone to the sea, vi piacevamo, ricordate?”. Hey ci piacete, dateci sotto!
Venendo al nuovo, o semplicemente al disco nel suo complesso, beh, che bellezza! Entrati nel mood da acquario della registrazione su bobina, si rimane ammaliati dalla accecante varietà che questi poppettari emiliani sanno offrire. Ritmiche incalzanti creano suspense ed esplosioni su cui chitarre, tastiere, archi e quant’altro ondeggiano o corrono a seconda dei casi. Ai toni cupi e alle distorsioni graffianti di Spin me round fanno da contraltare la freschezza quasi vacanziera di Billy’s gang dream e l’onirica Place a bet on you. La voce di Clancy si plasma ad ogni esigenza, disegnando suggestioni, salendo e graffiando solo dove serve. L’apice è toccato da Can you feel the blackwash, la cui orchestrazione ricca e avvolgente non fa affatto rimpiangere la dirompente What my life could have been. Sul finale torna un vago eco degli Arcade Fire, con Night Owl, tipico brano da chiusura di concerto, con tanto di brividi e, perché no, limoni adolescenziali.
Un disco da scoltare tutto di un fiato, lasciandosi portare per mano dalla batteria di Federico Oppi, autentica spina dorsale su cui l’opulento impianto sonoro gioca con gli arrangiamenti, dimostrandosi capace di disegnare tanto grandi architetture quanto intime digressioni al sapore di dreampop.
Un lavoro che estrapola la band emiliana dal panorama degli emergenti collocandoli di diritto nel novero delle realtà più solide e raffinate.
Insomma, un disco “da grandi”. Speriamo se me accorgano tutti, compresi gli autori.
(mp3) » A Classic Education – Grave Bird
(mp3) » A Classic Education – Forever Boy