Giunto al quarto disco in carriera, il pianista romagnolo si decide a far sul serio, affidando le sue canzoni e l’estro della sua Novecento Band ad una produzione artistica.
Lo avevamo lasciato all’Hotel Nord Est, titolo del suo terzo disco auto-prodotto nonché di una delle tracce più irriverenti ed in divenire del suo repertorio. Quello stesso Hotel Nord Est che usava per giocare con grandi del passato come Rascel e Ciampi, raccontandoci una modernità amara con cinismo ed una classe figlia dei tempi che furono.
Lo scorso anno Giacomo Toni ha scelto di accantonare per un po’ le proprie canzoni e i fedelissimi della Novecento Band per attraversare l’Italia in duo con Lorenzo Kruger dei Nobraino in un tour tributo ad un altro gigante come Paolo Conte.
Forte di tutto ciò, al ritorno alla natia Forlimpopoli, Giacomo ha raccolto le sue canzoni e i suoi fedeli compari di sempre e si è affidato alla produzione artistica di Francesco Giampaoli, per quello che sarà il suo primo disco edito da MarteLabel.
Esce oggi Musica per autoambulanze, lavoro raffinato e crudo che valorizza il pianista romagnolo e la sua visione musicale al di fuori del tempo.
“Ti dicono di fare le canzoni pop-rock, ma a te ti piace lo swing, in ritardo di cent’anni sugli assoli bebop perché Allah ha voluto così.”
È lo stesso Giacomo che si spiega con sorniona rassegnazione, in una strofa di Emanuela, la ghost track. L’intero lavoro oscilla tra lo swing e il jazz, con picchi di isterismo e di disperata bohème. Le soluzioni musicali figlie degli anni ’30 si prestano al racconto di scenari contemporanei, storie quotidiane, cuori spezzati e sbronze moleste.
Un progetto cantautorale in cui gli arrangiamenti godono di un sano protagonismo capace di esaltarne doti narrative.
Così la chitarra ed i rullanti di Un bel sabato arredano lo strazio di una melanconia dai passi pesanti. Tutt’altra soluzione per L’autoambulanza, in un certo senso la title track: le frenesie e cinismi del testo si appoggiano su un impianto di fiati ingombrante e ossessivo, quasi a ricordare le sirene dell’ambulanza che sfreccia nel traffico. La suspense jazz di Maledizione, invece, esplode ad orologeria in un’accozzaglia di piano, trombone, sax e sbattere di piatti perfetto per il racconto di una sbronza triste. La raffinata chitarra di L’ultima volta è figlia di Cuba e del rum che sa di rinuncia mentre Notturno parte come il più classico dei piano solo, che soltanto la voce di Giacomo riesce a strappare dalla definizione di accademico, catapultando i tasti dalla solennità di un palco alla penombra fumosa di un pub all’ora di chiusura, portato a braccia dal trombone di Marcello Detti e dal sax di Gianni Perinelli.
Un picco di squisita geometria è raggiunto in Le macchine vedovi, racconto surreale di stratagemmi borghesi per l’eliminazione del consorte: alla dettagliata descrizione di meccanismi diabolici si intrecciano millimetriche orchestrazioni ad orologeria, scandite da Marco Frattini che sembra capace di percuotere e rendere suonante qualunque cosa. È così che Le macchine vedovi prendono forma ed entrano in funzione con sorprendente precisione, neanche fossimo in un video degli OK GO.
Per concludere vi lasciamo con il singolo che ha anticipato il disco, Il bevitore longevo, celebre canzone che Giacomo ha prestato agli amici del Duo Bucolico e che ora ripropone con una nuova e ricca orchestrazione. È l’assaggio ideale di un disco in cui l’estrema cura dei testi e degli arrangiamenti non permette che si sfoci mai nel pacchiano né tantomeno nel manierismo di certi modernariati, restando anzi ben ancorato ai tempi moderni con acume e cinismo che, grazie al cielo, non passano mai di moda.