Una parte di noi lo aspettava quanto Random Access Memories. È uscito ieri e ti fa sentire a casa. Quella al mare.
Le premesse per gridare al miracolo c’erano tutte: il giusto hype, le apparizioni con Buscemi che te li facevano stare simpatici, i video già belli che pronti per il karaoke,… Ma alla fine ‘sto disco com’è? Come ce lo si aspettava, ne più ne meno.
Spieghiamo: le aspettative erano davvero alte e sono state tutte esaudite. Di dodici tracce non ce n’è nessuna che non piaccia, tutte hanno la capacità di insinuartisi nelle meningi e rimanerci incastrati, con le soluzioni ritmiche e le scelte strumentali più varie, la voce di Koenig spesso priva di filtri, lì, a cantarti in faccia e i cori ridotti ad evanescenze oniriche. Tutto come previsto ma anche tutto perfetto.
Lo si capisce da Obvious Bicycle, che apre le danze: i ritmi ipnotici e un accenno di piano, un gioco di arpeggi nei cori e poco più. Una traccia pulita ed esemplare ad anticipare l’esplosione di Unbelievers. É con il secondo brano che sai di non avere scampo, Modern Vampire of the City ti ha preso e non ne uscirai facilmente. Prese le distanze dall’isterismo di Cousin, le soluzioni di questo terzo disco dei Vampire Weekend poggiano sull’iridescenza delle tastiere di Batmanglij quanto sull’ordine di Koenig, quasi a riproporre quel dualismo Coxon – Albarn di cui nessun fan si è mai lamentato.
Emblematica dell’incontro scontro delle due anime della band è la sorprendente Diane Young, in continua tensione tra la caustica elettricità delle chitarre, i ritmi sintetici e una frenesia al piano che ricorda gli anni ’80 di George Michael, la voce distorta abbandona i toni del bravo ragazzo e tu che ascolti guardi il player quasi a chiederti: “hey, ma è davvero un disco dei Vampire Weekend?”
In effetti questa è e rimane l’unica sorpresa, l’unico brano, dei dodici, che stupisce e mostra qualcosa di insolito per il quartetto newyorkese. Il resto procede senta intoppi, come previsto, tra i picchi di acidità stemperati nelle ballate (Hannah Hunt), ritornelli virali e arpeggi celestiali (Everlasting Arms), trotterellando la più parte del tempo e sincopando i ritmi a sorpresa, sempre con una disinvoltura ed una eleganza che ha dell’aristocratico (Finger Back).
Di pezzi difficili da ignorare ce ne sono tanti (Worship Young su tutti) e nel complesso l’intero disco implora di essere suonato ed ascoltato live, cantato sotto palco e ballato, ancheggiato,… in una parola: amato! (Lo avevo detto che non si poteva essere obbiettivi, eh.)
A voler proprio sezionare il capello, diciamo che è un disco perfetto ma non sorprendente. Sono i Vampire Weekend, quelli che conosciamo, precisi ed armonici, dai suoni ricchi e dalle canzoni strutturate su più piani. Sono perfetti senza scadere nel manierismo, senza mai imitare se stessi, ma aderendo a quelle regole che si erano presi il disturbo di riscrivere. La questione è: e il prossimo disco?
Per il momento non ha molto senso chiederselo. Abbiamo domande più importanti da rivolgergli: i quattro hanno annunciato le prime date del tour e l’Italia non c’è.
lo sappiamo tutti,se #ModernVampiresOfTheCity sarà orrendo ce ne accorgeremo tra qualche mese,dopo averne tessuto lodi sperticate. #scimmia
— Cioppy (@CioppyC) 07 maggio 2013