Debutto sulla lunga distanza parecchio atteso quello dell´australiano Chet Faker, Nicholas Murphy per l´anagrafe. Il suo stile ha decisamente colpito nel segno, a partire dal brano che lo ha fatto conoscere, la sua reinterpretazione di “No Diggity” dei Blackstreet. Come il britannico Sohn, di cui per coincidenza esce anche in questi giorni l´album d´esordio, Chet Faker ha completamente interiorizzato la lezione della grande musica nera, dal Jazz passando per il Soul classico fino all´RnB da classifica dei 90s e lo fa sentire nell´uso sapiente delle note blu del piano elettrico, nel boom bap trascinato e minimale dei grooves, nella vocalità in primo piano, nuda e vulnerabile. Il tono spesso dimesso ed il carattere decisamente bianco del timbro vocale di Faker/Murphy accentuano il senso di intimitá dei brani, l´impressione che danno le sue interpretazioni è quella di un soliloquio notturno. Confessioni da ore piccole che entrano sotto la pelle. Ma non è tutto strettamente downbeat l´album “Built On Glass”. Infatti molto intelligentemente Nicholas, dopo aver piazzato in seconda posizione la gia conosciuta “Talk Is Cheap”, allinea le sue canzoni in una sorta di crescendo sonoro ed emozionale che culmina con le piú espansive e sensuali “Blush” e “1988” – giusto un paio di bpm al di sopra dei beats precendenti- decidendo poi di mandare tutti a casa con “Cigarettes & Loneliness” e “Lessons In Patience”, corale lamento blues per il terzo millennio con la voce del cantante doppiata e triplicata -trucco usato con intelligenza praticamente in tutti i brani- ed un sax inequivocabilmente jazzy, e la “chitarristica” “Dead Body”. Chet Faker sa come coinvolgere pur nella sua essenzialità, riesce ad abbattere con la sua sensibilità artistica tanto le barriere di genere quanto quelle generazionali ed ha il dono raro di rendere il personale universale. Un disco per la malinconia di oggi e per quella di domani.