È un pomeriggio ed a casa mia fa caldo, come sempre. Le giornate sono diventate irritantemente lunghe, così che le cinque del pomeriggio sembra orario di pranzo. Ed invece alle cinque del pomeriggio si prende il thè. Lo sta facendo anche Andrea Mangia aka Populous aka Life & Limba aka tante altre cose. Ci colleghiamo via skype ed iniziamo la nostra chiacchierata.
Cominciamo dalla fine. Pronto per lo Spring Attitude?
Sì, sono super contento di essere stato invitato. Andrea Esu mi aveva già chiamato lo scorso anno perché aveva molto gradito il disco di LIFE & LIMB.
Quindi saresti andato come L&L?
Sì, mi aveva chiamato per L&L ma dovetti rifiutare perché logisticamente era impossibile fare il live dato che io vivo in Italia e Michael a NY. A parte una vacanza trascorsa assieme in America non abbiamo mai avuto tempo di beccarci e strutturare il live. Tra l’altro lui ha trovato un lavoro piuttosto impegnativo e quindi la cosa si è complicata ulteriormente. Questo è il motivo per il quale ho messo in stand-by quel progetto e ho deciso di riprendere Populous.
A proposito di questo: leggevo qualche tempo fa una tua vecchia interview (datata 2012 o giù di lì) dove tu affermavi “Populous is dead”. E poi, cos’è cambiato?
Intorno al 2008, poco prima di far uscire “Drawn In Basic”, ho avuto alcuni problemi di salute che mi hanno fatto praticamente ritirare da ogni attività. Ho sospeso tutto quanto per un po’ e, quando ho ripreso, ho sentito il bisogno di ricominciare con un nuovo moniker, come simbolo di nuova vita. Mi sono concentrato su altro. Solo che ad un certo punto capisci che nonostante tu ti voglia opporre al passato per provare a cancellarlo, il passato ritorna sempre. Capisci che tutte le cose che ti sono successe (belle e brutte) fanno parte della tua vita e sono dentro di te. Visto che un sacco di persone continuavano a chiedermi di Populous mi son detto “ma sì dai, lo riutilizzo e vediamo un po’ cosa succede”.
Sono davvero contento di come sia venuto il disco nuovo. Si chiamerà “Night Safari” ed uscirà il 29 settembre.
Il giorno prima che questa intervista andasse online, Andrea ha pubblicato il primo estratto del suo nuovo album, lo potete ascoltare (accompagnato da un bellissimo video) in premiere su Soundwall. Alla luce dell’ascolto, tutto diventa più chiaro, non che non mi fidassi di lui, ma comincio finalmente a comprendere la traduzione in musica di tutte le sue parole.
Ora che mi hai detto il titolo, mi è venuto in mente un tuo mixtape fatto di recente, che conteneva parecchie influenze afro. Ci sarà qualcosa del genere anche qui?
Sì, assolutamente! Quello è il mix che ha ispirato tutte la scrittura del disco, nel senso che dentro ci sono tutte le cose che hanno influenzato il sound dell’album. Come dicevi tu, ci sono molte influenze afro, ma anche molta musica etnica proveniente dall’est. Medio oriente, Cina, Giappone, India. Diciamo che sarà il mio personale modo di interpretare la world music. La world che è stata sempre lo spauracchio per tante persone, me compreso. Ogni tanto parto coi miei trip. Qualche tempo fa ero in totale down per la musica classica, mentre da qualche tempo ho cominciato ad interessarmi alle sonorità tribali, agli strumenti tradizionali, antichi, selvaggi. Ho avuto conferma che la strada fosse quella giusta da alcuni artisti che stimo immensamente, tipo James Holden, piuttosto che MIA (che lo fa sicuramente da più tempo). Quando ho ascoltato il disco di Holden ho detto “anche lui è in fissa con sta roba qui”! Il colpo di grazia è stato poi sentire le nuove produzioni di un mio carissimo amico (Digi G’alessio) uscite sotto l’alias Clap Clap. Lui sarà anche nel mio disco sia come Digi che come Clap Clap.
Avendo notato il sano interesse che Andrea nutre verso la world music, e la preparazione con cui ne parla, mi lancio in una domanda su Omar Souleyman, su cosa pensasse del suo successo cosi repentino. Mi ha risposto inizialmente in maniera semplice, confermando le mie impressioni di un prodotto a metà tra l’effettivo merito artistico, e l’utilizzo smisurato del “fascino orientale”. Poi però mi ha fatto notare un’interessante parallelismo tra Omar e i Die Antwoord, rivelandomi di come fosse venuto a conoscenza del fatto che loro non fossero minimamente i personaggi che apparivano ai live o ai concerti. Cacchio, dal maglioncino della Fred Perry ai DIE ANTWOORD, ci passa un oceano. Ecco, non so quanto volontariamente, Populous mi ha dato la miglior risposta possibile su Souleyman.
Permettimi un volo che definire pindarico è poco. Passiamo da Omar Souleyman prodotto da Four Tet, a Four Tet come ospite dello Spring. Quali sono gli artisti che sei più curioso di ascoltare il 24 e 25 Maggio?
Sicuramente un sacco di gente andrà lì per Four tet, Gold Panda e Jon Hopkins. Sono grandi artisti, li seguo e mi piacciono tanto. Però il mio preferito in quella due giorni è Debruit. Lo seguo da tanto e il suo sound è stato determinante per la mia svolta “afro”. Poi sono un gran fan di Planningtorock, che suonerà con me al Macro, infatti quando Andrea Esu ha annunciato che ci sarebbe stata anche lei, mi sono sentito un po’ male (ride). Lei è ancora nello stadio “culto”, non è mainstream come i The Knife, ma son sicuro che i fans dei Knife l’ameranno alla follia. Anche il disco di Illum Sphere mi è piaciuto tanto, sono molto curioso di conoscerlo.
Andiamo un po’ indietro. Quanto pensi possa esser stato importante, sia musicalmente che proprio territorialmente, il fatto che tu sia “esploso” (passami il termine orrendo) a Berlino?
Allora: certamente il fatto di collaborare da subito con una grande etichetta mi ha aiutato tantissimo. È una cosa che fa andare anche in automatico tutto il resto. Poi ti ripeto, aver perso totalmente il contatto con la musica per un po’ è come se mi avesse bloccato, quindi adesso sto cercando di ricominciare. Ma mi rendo conto che i ragazzini di 20, 22 anni non hanno la minima idea di cosa io abbia fatto 10 anni fa.
Presente. Ma poi ho studiato eh, giuro.
Ahaha, no ma è normale. Adesso è come ricominciare. Riallacciare i contatti, capire come tutto sia cambiato, discografia in primis, i social etc. Un sacco di etichette hanno chiuso e alcuni punti di riferimento che avevo prima adesso non ci sono più . Quindi è davvero strana sta cosa. All’epoca cominciare con un’etichetta figa come la Morr mi ha aiutato tanto. Poi non sono stato “bravo” a cogliere l’attimo. Non sono per nulla un business-man ahahaha.
Ecco. Questa è una domanda che ho già fatto a Machweo e Godblesscomputers, e che mi interessa tanto. In Italia si può vivere di musica?
Diciamo che è un po’ difficile.
Sta forse cambiando qualcosa, no?
Questo non te lo so dire, non mi piace fare i conti in tasca agli altri, e quando parlo con i miei “colleghi” preferisco non toccare mai l’argomento “cash”. Molti di loro fanno altri lavori, e da questo puoi dedurre che solo con la musica non ce la fanno. O comunque, non avendo la certezza di un guadagno fisso, devono necessariamente avere un altro lavoro. Il mio caso è leggermente diverso, perché oltre al producer ultimamente faccio anche il dj: mi diverto un sacco ed è un modo per aumentare gli introiti.
È, sotto un certo punto di vista, lo stesso discorso che mi fece Lorenzo di Godblesscomputers. Belle le produzioni, però i soldini ti vengono dalla date da dj.
Ed è vero. Io poi faccio anche il sound designer per siti web, documentari, film, spot etc e, nonostante tutto, non sono ricco.
Quando ti chiedevo della parte territoriale della fortuna di venir fuori a Berlino, in un certo senso mi riferivo anche alle difficoltà che si possono incontrare al Sud Italia (rispetto a Milano ad esempio). Tu che ne pensi?
Credo di conoscere abbastanza bene Milano, e devo dire che non si tratta tanto di sud e nord. Nel senso, non è che un buon dj mestierante al sud faccia meno soldi di un buon dj mestierante a Milano. Più che altro farei delle differenze sostanziali tra Italia e Germania. Qui c’è un sacco di burocrazia di merda che ti mette sempre i bastoni fra le ruote, Siae in primis, il male numero 1. Pensa a quanti locali molto spesso rinunciano ad organizzare piccoli o grandi eventi per colpa della Siae. Abbiamo davvero delle regole assurde. Ci sono ancora dj non iscritti in Siae che suonano ogni sera col terrore dei controlli. Tutto questo non esiste a Berlino o in USA. A volte mi sembra davvero il medioevo. Quando il mio editore tedesco ad un certo punto dovette interagire con loro mi mandò un messaggio con scritto “Andrea scusa ma questi sono davvero all’età della pietra”. Proprio “STONE AGE”.
Poi c’è il fatto che la musica in Italia non è mai stata considerata un vero e proprio lavoro. O sei Federico Zampaglione oppure se vai in giro a dire “faccio il dj e il producer” ti guardano come per dire “Ah ok, ma in realtà cos’è che fai?”.
Sempre per la serie “piccoli 23enni che hanno dovuto studiare per scoprire il Populous del passato”. Ho letto una tua intervista di parecchio tempo fa, dove venivi definito come un “esponente di spicco della scena indie di musica elettronica”. Credi che sia cambiato qualcosa in Italia? Penso alla scena di “musica intelligente” come mi piace definirla.
Mah, non saprei. Sicuramente è diventata sempre meno di nicchia, se si pensa anche al successo di un certo tipo di produzioni dance di qualche anno fa (BB, Crookers, Congorock etc). Loro son stati sicuramente bravi a far conoscere un certo “made in Italy” anche all’estero. Certo è che loro hanno sondato un terreno forse più “facile”. Tu credo ti stia riferendo a persone che fanno produzioni più sperimentali vero?
Si, esattamente. Go Dugong, piuttosto che qualcun altro.
Sì, ho capito perfettamente a chi alludi, e sono tutti miei amici.
Non noti un interesse maggiore per questo genere di suoni?
Non so che dirti in tutta onestà. Vorrei dire di sì con tutto il cuore. Ma non ne sono sicuro. A me piacerebbe sapere che il teenager che abita di fronte casa mia invece di ascoltare Skrillex o i Pendulum ascoltasse Capibara, Milangeles e Clap! Clap! Il territorio è in fondo lo stesso (musica elettronica con un certo “impatto”), solo che i primi sono truzzi e gli altri no. Però ok, il trash nella musica purtroppo vince sempre.
Mi piacerebbe sapere il tuo pensiero rispetto ad una cosa a cui pensavo giorni fa. Volevo scriverne perché mi è capitato di acquistare un vinile di un album di IAMNOBODI “Snapshot From Berlin” e nell’attesa di riceverlo, lui ne aveva già rilasciato un altro (solo in digitale d’accordo) ma comunque più recente di quello che ancora doveva arrivarmi. Ho pensato allora che tutti questi artisti, Kaytranada, Ta-ku, Flume di meno, producono, o per lo meno mettono in rete con una velocità impressionante. Secondo te, è necessariamente un bene, o pensi possa avere un risvolto negativo?
Allora, te la rigiro così: a me piacerebbe essere molto prolifico, ma sfortunatamente non lo sono. Ma nell’eventualità in cui dovessi avere decine e decine di pezzi pronti, non so bene cosa farei. Probabilmente li farei uscire sotto nomi diversi e concentrerei solo poche cose con l’alias principale.
Perché faresti una scelta del genere?
Perché come hai detto te è un po’ controproducente far uscire troppe cose. Ti faccio un esempio: da ragazzino era stra-appassionato degli Smashing Pumpkins. Billy Corgan, che è un super egocentrico di merda, fece uscire “Mellon Collie”. Io che venivo da un album perfetto come “Siamese Dream” mi sono ritrovato a pensare “Ok bello, ma perché ha fatto due dischi?”. Ne avrebbe potuto fare uno incredibile ed invece si è ritrovato con due album imperfetti.
Bingo.
Ascoltando un po’ i tuoi mixtape in giro, si capisce che non sei assolutamente uno focalizzato in un certo tipo di ascolti e di musica, ma che anzi sei “musicalmente cosmopolita”. Ci fai un riassunto del background musicale di Andrea Populous?
Io sono laureato in musicologia e questo mi ha sicuramente reso ancora più onnivoro. Già prima ancora dell’università ascoltavo un sacco di roba diversa. Studiare musica mi ha fatto approfondire generi in cui non ero molto ferrato (penso alla musica classica, al jazz, alla musica contemporanea, all’etnica). Sono cresciuto con un certo tipo di rock (grunge, noise, post-punk, grind, metal, post-rock etc) e solo dopo mi sono spostato su suoni più elettronici (drone, ambient, isolazionismo, glitch etc). Poi ho avuto una fase “black” dove veramente credevo di essere un nero nel corpo di un bianco. Ma suppongo accada a tutti. Credo. (ride). In tutto ciò non sono mai stato appassionato di dance. Quella è una cosa che mi ha trasmesso il mio amico Congorock.
Ho letto da qualche parte che il nome Populous nasce dalle prime tre lettere “Pop”.
Il nome viene da un videogioco, mi piaceva molto com’era scritto. Poi però va detto che tutti gli amici mi chiamano “Pop”.
Ah, quindi non c’entra nulla con la musica pop?
No, non c’entra niente. Non ho nulla contro il pop, anzi, sono super-fan di musica pop, mi piace Beyoncé, Britney e tutta quella roba (ho molti scheletri nell’armadio). Però nasce dal videogioco. È cominciato cosi, per scherzo, mai pensando di poterci fare un disco con quel nome. Poi Thomas (Morr) un giorno mi disse che stava facendo uscire un mio pezzo nella sua compila e io ero ancora lì che cercavo un moniker. Mi disse “usa Populous, è figo”. Non avevo tempo e rimase quello. Amen.
Ti rubo gli ultimi tre minuti al volo. Ci dici gli ultimi dischi che ti hanno colpito?
Sicuramente John Wizards, il mio preferito. L’EP di Clap Clap, poi il disco di Todd Terje.
Ed hip hop? Qualcosa dalla nuova scuola?
Da teenagers ero un b-boy totalmente in fissa per Gruff, Esa, Otr, Coller Der Fomento etc. L’hip hop italiano non lo seguo più. In America ti direi Drake, che mi è piaciuto un casino, poi Childish Gambino e, ovviamente, Frank Ocean.
E Kanye? Vuoi fargli le felicitazioni di matrimonio o qualcosa del genere?
Guarda a me lui piace, ma non credo sia il genio che crede di essere. (ride). È un gran personaggio, si rende antipatico costruendosi questo status “alla Kanye”. Fa un sacco di musica figa, si può permettere di far uscire Yeezus, che è totalmente fuori dalla logiche di tutto. Però credo che molta gente sia abbagliata da tutto l’hype, per cui non so se sta apprezzando più l’aspetto sonoro oppure quello meramente mediatico. Poi chiaro, vengo a sapere che due ragazzi di Bassano gli hanno prodotto una traccia e sono contento come un bambino. Per esempio gli Ackeejuice Rockers mi piacciono un sacco e mi piacerebbe tanto collaborare con loro. Lasciando per un attimo Kanye volevo citare uno dei miei produttori preferiti, uno che pensavo dovesse esplodere già anni fa ma è rimasto un po li dov’era, forse per colpa sua, dato che pare sia un tipo abbastanza sociopatico. Sto parlando di Siriusmo, incide per la Monkeytown ed è un genio del male. Eppure non ha ancora il riconoscimento che meriterebbe. In lui c’è il genio che manca a molti, molti altri.
Non servo io a spiegarvelo, Andrea conosce la musica come chi l’ha studiata ed approfondita per davvero. Ma prima di tutto ciò parlando con lui, hai come l’impressione di star discutendo di qualcosa di sacro, qualcosa che non può essere solamente ascoltato, ma che merita approfondimento, dedizione. Perché se ho imparato qualcosa da questa intervista, è che, per quanto tu possa evitarla, la musica alla fin fine, non ti abbandona mai.