Sabato 24 maggio si è tenuto uno degli eventi più attesi della stagione, e l’enfasi non è usata a caso. Se fossi capitato a Milano anche solo per sbaglio nelle ultime settimane, avresti notato stazioni metropolitane interamente tappezzate, siti web impazziti, conversazioni sul tram che non toccavano altro argomento al di fuori del Culture Clash.
Motivo? Red Bull Music Academy ha portato in Italia una figata, di quelle belle vere, che ti fanno ripescare parole ormai in disuso dal vocabolario musicale. E l’attesa palpitante si è concretizzata in un evento memorabile ed autentico, in cui la multiculturalità di una città come Milano è emersa non solo come momento di aggregazione, ma anche come valore assoluto.
Noi, che eravamo in terrazza ad assistere all’evento marchiati Lucky Beard, ci siamo dovuti ricredere su alcune crew, mentre siamo rimasti delusi da altre. Il bilancio finale? Dovrebbe esserci un Culture Clash ogni weekend e qui ti raccontiamo i dieci motivi per i quali se non c’eri, sei un babbo.
1) Roccia Music è meno peggio di quanto credi.
Se alla visione delle parole Marracash e Achille Lauro, cominci a sbattere i piedi per terra e ad implorare pietà, ti trovi più o meno nella stessa condizione di chi scrive. Ma Roccia Music è, a nostro avviso, la crew partita meglio. Folkore da night club, ballerine alla Major Lazer, rime a denti stretti per il warm up della serata. Giuro di aver mandato un messaggio ad Olly della produzione con scritto “Non l’avrei mai detto, ma quoto Roccia Music per ora”. Non ero sbronza e del resto eravamo ad una gara di zarroganza, no?
2) I pronostici non ci azzeccano mai.
Rap Burger aveva condiviso la scorsa settimana un pronostico a favore di Lucky Beard e, a a dirla tutta, eravamo decisamente d’accordo, soprattutto per via della presenza dei due invidiatissimi jolly Digi G’Alessio e Stabber. La crew di Phra, grande assente della serata, non si è aggiudicata nemmeno una prova e gli applausi ricevuti non sono stati tra i più fragorosi. Eccellenti nel warm up, hanno puntato su una stravaganza colta e composta nella prova finale con il guest Noyz Narcos e un’esibizione di nani in motocicletta acrobatica. Ma l’aver suonato una traccia non inedita gli è costata una bella squalifica sulla prova determinante da due punti. Try again, Lucky Beard.
3) Non ci libereremo mai più dal Free The Universe tour di Major Lazer.
Dal twerking sottosopra di natiche abbronzate (cit.) ai pattern camo di top al limite della legalità, passando per le bandiere sventolate sul palco come neanche in curva nord, lo stile eclettico del trio capitanato da Diplo è ormai diventato un paradigma per le esibizioni live. “Oh regà, hanno chiamato quelli della Red Bull e hanno detto che dovemo fa un po’ di caciara, che portamo?” – “Bella oh, guardiamo quello che hanno fatto i Major Lazer e amo risolto”. Però quanto spacca il Free The Universe tour nessuno mai.
4) Siamo bravissimi a fare reggae e dub.
Le due crew che hanno tenuto più banco sono state indubbiamente Elastica e Macro Beats. La prima a suon di dubstep e drum’n’bass, i secondi a colpi di dischi reggae come neanche in Salento il 15 agosto. E lo sanno fare bene, benissimo. Mai un attimo di noia, mai una sbavatura, i free style di Kiave contro gli interventi di Madaski, la presenza regionale di Mecna contro ospiti d’oltre manica come General Levy. Snoop Lion ‘levate.
5) La gente capisce di musica più di quanto siamo abituati a credere (basta cercare nei posti giusti).
Leggi anche = se al tuo ospite d’onore la gente tira giù il cielo con i fischi, hai sbagliato qualcosa. In tal caso, quel qualcosa è far salire sul palco Gue Pequeno come cavallo di battaglia. No fra, è tutto sbagliato. Menomale che Clementino ha registrato un dubplate in sostegno di Roccia Music e gli ha salvato almeno l’intro della quarta prova, mettendo le mani avanti (Me sient, o re ro clash nun cunta nient, Roccia music spacc i rient).
6) Se Lucky Beard avesse schierato Digi in prima linea avrebbe vinto 10 a 0.
Tutti bravi, per carità, con uno Stabber in grande forma a dirigere l’orchestra e tutti gli altri Anubi, Natlek, Fuuku a fare ballotta alternandosi al mixer. Ma non oso immaginare cosa avrebbe creato il buon Digi in combo con Nitro, master of ceremonies che vince il premio della giuria di qualità (Beard vuol dire barba non vuol dire uccello, scemo, e tu non hai neanche quello).
7) La musica in Italia è più viva che mai.
Parliamoci chiaro: non ci siamo inventati nulla. Il clash tra soundsystem diversi esiste da decenni in Jamaica e Red Bull, prima di farlo approdare in Italia, l’ha già sperimentato in città come New York e Londra. Ma vedere la tua gente, i tuoi musicisti, le tue cricche scendere nell’arena e sfidarsi a colpi di sonorità così diverse e tutte squisitamente tailored in Italy, ci ha lasciato la sensazione che il sostrato musicale italiano, al netto dei gusti personali, sia più fertile e vivo che mai.
8) Dovrebbero esistere 100 aziende come Red Bull.
E non per piaggeria, ma perché se la musica non è per l’Italia un settore strategico d’investimento, ringraziamo per l’esistenza di imprese private che ci credono e sostengono la scena. Senza puzze sotto al naso, senza scavare troppo nella nicchia, senza il timore di sfidare un palazzo istituzionale per metterci dentro un clash musicale i cui bassi frantumano i vetri. Perché abbiamo bisogno di esempi di coraggio e di eventi di qualità.
9) Da’ ad una persona seria una vuvuzela e la vedrai trasformarsi in un ultrà.
Colleghi, amici, critici esimi, snob che non si scompongono mai, rappresentanti imperscrutabili della scena: mettigli in mano una trombetta o un fischietto, e la trasformazione è garantita. Siamo tutti animali da stadio in fondo, basta sentirsi in buona compagnia.
10) Tira più un verso di Ghemon che un pelo di figa.
La quantità di figa (passatemi il termine) presente sul palco non si contava. Se Elastica ha puntato sul carisma ma non certo sulla bellezza e Lucky Beard sui mini Elvis in giacca bianca, Roccia Music si è portata le ballerine del Pepe Nero sulle quali ho avuto gli occhi incollati per almeno un quarto d’ora. Ma quando entra Ghemon a cappella con una versione dissing di Adesso Sono Qui relegando il pubblico in religioso silenzio, manda tutti a casa, con eleganza, accompagnando la porta dietro di sè.
Complimenti a Macro Marco e al suo soundsystem. Al Palazzo della Regione qualcuno sta ancora cercando un pezzo di cuore lasciato nell’arena.
Photo credits: Red Bull Music Academy
Video Credits: Umberto Zuccaro