Foto: Erik Weiss
Quando si dice “assistere alla nascita di una stella”. Tradotto nella realtà fa rima con uno dei primi concerti in assoluto di FKA Twigs.
Kantine am Berghain è la succursale del Berghain, storico tempio europeo della techno nel quale i turisti di tutto il mondo e molti berlinesi sperano di essere ammessi, almeno una volta nella loro vita. Un locale che equivale, in scala, alla camera da letto e al soggiorno di casa mia. Una situazione intima, familiare, quasi che a salire sul palco ci sia un amico che di solito suona in cantina durante il fine settimana, insieme al suo gruppetto.
Ad alimentare questa sensazione di confortevolezza al varco, ci ha pensato il diluvio che si è abbattuto sulla capitale tedesca per tutta l’intera giornata. Avvolti dal grigiore più totale, per raggiungere la venue bisogna attraversare le strade interne di una Berlino Est che ancora oggi ti lascia delle sensazioni contrastanti indescrivibili, sempre che ci si riesca a isolare dalla marea di soggetti urlanti che attraversano la Warschauer Str. in lungo e in largo, già più che brilli all’ora di cena.
Il concerto è SOLD OUT e la ragazza al botteghino si dice stupita di come i biglietti siano andati via in pochi giorni. In effetti FKA Twigs non è proprio un genio del marketing, la sua pagina FB è vuota e quella su Twitter viene aggiornata, probabilmente, dal suo management di quando in quando. O forse è proprio questo semi-alone di mistero una delle sue carte vincenti.
Entro poco dopo l’orario di apertura delle porte. In un angolo, quasi al buio, c’è Black Cracker all’opera. Suonerà per quasi più di un’ora, mixando Queer Rap e Trap nel disinteresse più totale, nonostante il set tirasse giù l’intonaco delle già deteriorate pareti del Kantine.
Il concerto di FKA TWIGS inizia con circa un’ora e venti di ritardo, luci spente e pubblico urlante preso benissimo già prima che la nostra beniamina salga sul palco.
Entra da una scala laterale dopo i musicisti. Una dea. Vestita di seta bianca e perle, con dei rivoli di capelli a forma di spirale appiccicati alla fronte. Non un’espressione facciale. Non un sorriso. Spocchia. Intona Weak Spot, i bassi sparati a mille, gli organi interni che prendono vita e in un secondo mi sembra di essere stato catapultato nel 2024. Vocalmente impeccabile. Pochi, azzeccati, sensuali movimenti.
Al termine del primo pezzo il pubblico in delirio urla e applaude. Lei impassibile.
Il concerto prosegue con Hide con questo falsetto che sembra non finire mai, delicatezza, superbia e questi misuratissimi passi di danza che sprigionano personalità da ogni dove. Da qui in poi perdo”di vista” la setlist, FKA Twigs comincia a presentare alcuni pezzi inediti che faranno quasi sicuramente parte del suo album di debutto. Uno dopo l’altro. Il primo, degno di nota dovrebbe intitolarsi Lights On e fa più o meno così:
(il drop allo scadere del secondo minuto è qualcosa di :-O)
Alla fine dell’esibizione Twigs si leva improvvisamente la maschera. Sorride, ringrazia e si dice incredula che ci sia così tanta gente che la acclama e si dice addirittura stupita che ci siano persone che vengano al suo concerto. Racconta divertita di quando due anni prima, sempre a Berlino, durante un festival locale (protagonisti A$ap Rocky e Action Bronson), non se la fosse filata nessuno.
Poi via di nuovo con una traccia inedita, con tanto di video in esclusiva per DLSO. Piccola preview direttamente da Berlino.
Tra una mina e l’altra, riflettevo di come la resa live delle tracce già pubblicate fosse decisamente superiore alla versione in studio, allo stesso tempo mi chiedevo come suonassero le nuove su inciso.
È il momento di Water Me e Ache, accolte dal pubblico come se fossero delle grandi hit trasmesse a ripetizione su MTV. Da qui in poi anche i maschi teutonici più immobili incominciano ad accennare qualche passetto laterale, destra sinistra, incantati gradualmente, traccia dopo traccia, dall’aliena londinese.
Tahliah Barnett (FORMERLY KNOWN AS Twigs) è ormai padrona del palco. Consapevole di aver conquistato il pubblico, interpreta come una veterana ogni pezzo condendo, con delle personalissime hiphop moves, tutti gli stacchi, gli accenti e le sfumature delle produzioni di Arca (non a caso prima di intraprendere la carriera di cantante è stata per anni una ballerina).
Foto: Hasi Messer
A chiudere il sipario dopo poco più di un’ora, il metronomo frenetico di How’s That. Niente bis, si riaccendono le luci e si torna nel 2014.
Per tutta la durata del concerto ho avuto la sensazione di assistere a qualcosa di grosso. Non so come se la giocherà, né se diventerà una star internazionale, ma sono certo che di lei sentiremo parlare a lungo. Probabilmente è anche l’ultima volta che si avrà la possibilità di vederla in una situazione intima come il Kantine Am Berghain.
A voi e al futuro l’ardua sentenza.