Nel caso qualcuno non se ne fosse accorto, il 2014 è stato l’anno della conquista radiofonica di quel macro genere definibile con il termine retrò. Un andazzo che ha cominciato a diffondersi già un paio di anni che fa e che quest’anno ha vissuto la consacrazione definitiva anche a livello mainstream con gli ininterrotti passaggi di gente come Daft Punk o Pharrell. Un revival che attinge da diverse annate: dai settanta dei sopracitati caschi francesi, agli ottanta di Tensnake, i novanta degli Hercules & Love Affair, e così via.
Molti tra i puristi e gli amanti del genere funk/soul/disco avrebbero sicuramente molto da ridere sul lavoro di Josh Lloyd Watson e Tom McFarland. Quasi tutte le melodie del disco dei Jungle sembrano dei campionamenti non dichiarati, delle ottime ri-produzioni del suono originale da cui attingono, una sorta di rivisitazione moderna degli Earth Wind and Fire cantati da Curtis Mayfield e suonati dai Funkadelic. Un pot-pourri riuscitissimo, nulla da dire, se non fosse per alcuni sinth e alcuni passaggi che flirtano senza vergogna con il mainstream di quegli anni, che allora, nei 70 e agli inizi degli 80 era già considerato una versione annacquata di produzioni precedenti volta a corrompere i dancefloor di tutto il mondo.
Prendiamo ad esempio Busy Earning, terzo singolo estratto accompagnato da un video ballerino semplice ma efficace a rievocare un certo tipo di scena e di era musicale. Il sinth che parte nel ritornello è degno di una sigla di Lorella Cuccarini o di una Jo Squillo on fire e quel falsetto ricorda un ritornello qualsiasi degli Imagination. Te lo spiega meglio The Man in Red che ha un canale molto interessante su Youtube a cui io, fossi in voi, mi iscriverei.
Non che a me interessi molto il purismo in generale, se l’album dei Jungle servisse anche a far digitare un solo ascoltatore su 100 Sly and the Family Stone o anche i molto più immediati Isley Brothers su Youtube andrebbe comunque bene.
Difficile non ammettere che una melodia come quella di Crumbler, meno paracula dei singoli (tutti pacchetti perfettamente confezionati) e quel ritornello quasi troncato a metà, siano irresistibili. Così come altrettanto irresistibile è l’intera operazione Jungle a cui appartiene un non so che di credibilità, forse dovuta alla scelta di non pompare la loro coolness e di lasciar parlare la musica. Ad essere convincenti saranno anche i video promozionali senza mega budget, ma con delle semplici ed efficaci idee (vedi Platoon) e quell’innocuo anonimato volto a riempire le pagine dei blog e dei quotidiani alla ricerca del musicista misterioso.
Vogliamo parlare anche dei live? Parliamone:
Lasciateci l’illusione di rivivere un periodo storico da noi neanche sfiorato, lasciateci pensare che i Jungle siano i nostri interlocutori attraverso i quali immagazzinare un tot di informazioni musicali che possano arricchire la nostra cultura, uno spunto per sollecitare una ricerca- backwards o semplicemente un modo per infilarsi le cuffie, premere play e trasformare la banchina della metro vicino casa tua in una pista da ballo e la macchina dei biglietti in un jukebox.