È soffice l’entrata in circolo di un lento liquido a rilascio prolungato: prima nella testa, nelle cellule percettive e poi in calata vorticosa dritto al cuore e all’abbraccio finale – forti palpitazioni, ma tachicardia sotto controllo.
Scopri così il nuovo di SBTRKT e rimani di sasso, completamente stordito. I suoni sono puri incastri magici, vero colpo di teatro di un musicista dal gusto superiore che non punta (e diciamolo: fa bene!) all’immediatezza piaciona di una “Hold on” o una “Wildfire”. Siamo piuttosto invitati ad una degustazione intelligente di un prodotto corposo e intenso, giocato volutamente sui toni bassi, dai suoni smaccatamente jazzy-lounge, malinconici, dove il concetto di postdubstep è finemente rielaborato e dove vengono marcate radici di provenienza quanto mai assolute.
Il suono di Croydon torna a splendere come non si sentiva dai tempi del primo disco degli Author e dimostra, come se ce ne fosse ancora bisogno, quanto sul dubstep e sulla sua interpretazione ramificata abbiamo sbagliato a considerarlo finito troppo presto. La declinazione del genere avviene a ritmo lento, tra paradigmi del soul in slow-motion e soffici richiami ad un r’n’b d’essai (Problem Solved su tutti ).
Lenti sono i battiti di questo lavoro molto più suonato (e in che maniera!) in cui spicca decisamente l’alchimia creata con Sampha, vero strumento portante, maestro di cerimonia e eco sonora parlante di SBTRKT; mai fuori posto, sempre sublime come la schiuma nella birra di una pinta scura, quella in cui disegneresti un cuore o un faccino felice.
Notevoli gli ospiti invitati all’allegorica messa, tutti con ruoli da assoluti protagonisti e mai da semplici comprimari: a loro il merito di fondersi a chi produce in un connubio di livello magistrale. Se Jessie Ware (e tu che ancora muori dietro a Lana del Rey) è solo una conferma al pari di Koreless (sognatore sghembo), impressionanti sono gli apporti di Raury e Asap Ferg in territorio Brighton ’94 e di Ezra Koenig in New Dorp.New York nuova “sign of the times” dell’era 2k.
A conti fatti siamo davanti a un lavoro forse meno caldo rispetto al primo, ci si avventura in un territorio più urbano e umido fatto d’acciaio e alba di nuovi giorni più che di sogni; le emozioni sono lì dietro l’angolo, pronte a sorprenderti dicendoti “hey ci siamo e adesso non ce ne andiamo più”. È infatti intorno al decimo ascolto che “Wonder Where We Land” diventa bisogno essenziale più che semplice album, vera necessità quotidiana in cui, a giudizio di chi scrive, “Gon Stay” è la gemma di un disco perfetto.
Il 2014 ha regalato dischi per amare (Kelis), per ballare senza paranoie (Tensnake), dischi per sognatori (Heterotic, Rustie). Questo è un disco per gli abbracci dove le parole contano poco, perché si può stare bene anche senza dirsi nulla, confondendo il proprio respiro nel ritmo lento che ormai ha invaso la mente oppure cercando di indovinare dove si atterrerà, senza pensarci poi troppo perché un posto vale l’altro. Aspetto fiducioso Flying Lotus e forse mi rimangerò queste parole (me lo farete notare con un sorriso). È che noi emotivi siam fatti così, ci emozioniamo subito. Ma che tremarella che si prova a stare di fronte a un possibile disco dell’anno.