Foto di Mauro Puccini
Era la mia prima volta, ma me ne avevan parlato. M’avevan descritto minuziosamente il posto, il luogo dove la magia sarebbe stata creata, e il clima da club fuso alla logica del festival. Loro me ne avevan parlato, ma io, come al solito, non c’avevo capito un cazzo.
Per questo motivo, appena arrivato al Lingotto per l’apertura del week end del Club To Club 2014, ho voluto precipitarmi subito a vederla, la sala rossa, il palco Red Bull Music Academy, quella che sarebbe diventata casa mia per due giorni, o due notti, fate voi. Al mio arrivo, con un ansioso quarto d’ora d’anticipo rispetto alle 21.30, orario d’inizio delle danze, la sala era ancora chiusa. Immaginerete la delusione.
L’incontro, però, è solo rimandato, a quando sulla stage troverò Jessy Lanza, armata di microfono e talento. Col senno di poi, una delle qualità che più le riconosco a quella di aver reso la sua musica, che se non è scura, tende al grigio, un arcobaleno di colori, un’inno quasi. Una signora, con il marito, candidamente confessa di non conoscerla, e, chiedendomi il suo nome, ne riconosce il merito “è brava, però“. Già, però è brava, molto brava. Se ne facessimo una questione di confronto, spazza via Evian Christ, che nel main stage litiga con volumi un po’ troppo alti e un orario a lui non consono.
La line up della “sala“, il venerdì, ha certamente un punto a suo favore rispetto a palco centrale. E’ costruita come una filastrocca, o una poesia. In rima alternata, con, al posto delle A e B, momenti esaltanti e altri più riflessivi. Jessy Lanza, Ninos Du Brasil, Kelela, Fatima Al Qadiri, Ben Ufo b2b Ron Morelli, Millie&Andrea. Piano, forte, piano etc.
Tocca ai Ninos, gli stessi che non vedevo l’ora di ascoltare da tanto. Quasi sembravo un pischello, anzi in teoria lo sarei. Parevo l’unico a non aver mai ascoltato i Ninos Du Brasil live. Ma adesso, ci siamo. Parlando, poche ore prima, con Vascellari e Fortuni, incuriosito da cosa, a loro modo di vedere, rendesse così speciali i Ninos glielo chiesto, e mi hanno risposto
“Quello che secondo noi da ai NDB un’identità forte è il fatto di essere un gruppo molto fisico, che cerca un contatto con il pubblico. E quando il pubblico si lascia andare, e perde qualsiasi tipo di inibizione e di senso del pudore allora funziona.“
─ da un’intervista a RedBull.it.
La fisicità, quella che la piccola saletta rossa esalta in maniera tremenda. E in effetti stare dietro ai Ninos è davvero uno sforzo fisico allucinante, come vivere un intero carnevale di Rio, condensato in 1 ora. Qualcosa che ti mette alla prova tutti i sensi, esaltandoli, portandoli allo sfinimento. Alla fine ti resta addosso quella sensazione di stanchezza che si porta dietro un sorriso grande così, quella di quando hai fatto qualcosa che ti piace.
La “sala“ha messo il suo pubblico davanti anche ad un diverso modo di interpretare la sensualità femminile. Quella ammiccante di Kelela, fatto da un vestito di inebriante pochezza e da una voce più calda della temperatura del posto, contrapposto a quella sicura di Fatima Al Qadiri, e del suo potente Dj set (purtroppo non ripetuto il giorno seguente con i Futurebrown). Eh si, perché ci sarebbe anche un giorno seguente. Altre 6 ore e più di questa roba, parafrasando Flavio Tranquillo durante gli ultimi playoff NBA.
Il buonsenso imporrebbe il riposo, l’apertura di Ron Morelli e Ben UFO conducono la decisione verso altri lidi. La “sala” chiama, ancora. Il perfetto b2b tra i due, mi spinge ad una riflessione: a volte i DJ set vengono visti male, specialmente se inseriti in cartelloni di grossi festival (cosa che il C2C decisamente è, mettiamocelo in testa), il “live” è più catchy, ti da l’idea di assistere a qualcosa di più esclusivo, ricercato. E forse, in genere, è pure così. In genere. Non quando ai controlli ci sono due veri artisti, che sull’arte del djing c’hanno costruito una carriera. I due interpretano in maniera semplicemente bella il b2b, il senso del b2b. Si sfidano, duellano, e nessuno esce vincitore, nessuno sconfitto. Anzi si, lo sconfitto sono io, che dopo la loro esibizione abbandono la “sala” lasciandomi alle spalle (colpevolmente) tutta la musica di Millie&Andrea.
Chiedo venia, ero davvero stanco.
I taxi sono troppo costosi, io solo e vado a piedi. Torino alle 4.30 del mattino è l’esatto opposto della “sala”. Nel tragitto verso l’hotel incontro la pasticceria del signor Antonio, che conosce il C2C, ma non la “sala”. Provo a raccontargliela, ma lui non mi capisce fino in fondo. Prevede per me solo un gran mal di gola. Aveva ragione, il signor Antonio.
Sabato. Uno di quei giorni che gode della stima altrui, è anche il giorno che il Club to Club ha scelto per invitare in “sala” 3 dei 5 artisti italiani in cartellone nel w/e. Lo stato di ebrezza musicale nel quale arrivo ai posto di comando, è dovuto interamente alla performance di Fatima, poche ore prima nella sala musica dell’Absolute Symposium. Mai tanto cara mi fu, cotanta bellezza. La capacità di giudizio di tutto quello che verrà dopo è irrimediabilmente compromessa. L’etere in cui mi trovo è un posto troppo bello per tornare indietro, se non fosse che…
Se non fosse che il cine/giappo dove mi concedo una cena (con un menù ambiguo, a dir poco) non fa della rapidità la strategia d’impresa. L’incantesimo, quasi tre ore dopo, finalmente si spezza. Se riesco a godermi la bella disco dei Tiger & Woods, quindi, il merito è soprattutto del cuoco del cine/giappo. Grazie.
Per quanto sia bello il sabato come giorno, all’interno della “sala” l’aria che si respira è diversa. Sempre molto calda, ma diversa. Lorenzo Senni ha un suono forse troppo futuristico per me, per noi. Mi sento quasi a disagio, di fronte a tutta quella creatività. Ero lì che osservavo, inerme, i buchi neri creati nello spazio da Lorenzo. E’ tutto più facile dopo, con Visionist e Vaghe Stelle. La loro (dei tre) sequenza di esibizioni è costruita ad arte, i suoni diventano più reali, fino a spezzarsi durante il set di Vaghe Stelle. Magari un po’ troppo, ma son belli, tanto belli.
Nel mezzo, son riuscito a togliermi un altro sfizio, e che sfizio. L’esibizione di Jacques Greene è stata come me l’ero sempre immaginata. Recita tranquillità, la tranquillità di chi sai che non sbaglierà nulla, di chi è, normalmente un DJ perfetto. Non quella della sua selezione, potente e orientata al dancefloor. Qualità, eccelsa qualità.
Le luci sono ancora accese, tutto è rosso. In fondo è quello che caratterizza la “sala“. Ad un certo punto mi ritorna in mente tutto quello che mi avevan detto, su quella “sala”. Ci penso bene, tornato in stanza.
Non avevo capito poi così male, il palco della Red Bull, quella “sala”, sono in qualche modo visceralmente legati. Mi sono anche chiesto se Jessy Lanza, se Ron Morelli non meritassero il main stage. Certo che si, ovvio che si. Ma il discorso è diverso. L’esaltazione della performance è quella che conta, fanculo il caldo, fanculo il mal di gola.
Anche sabato son passato davanti alla pasticceria del signor Antonio. Era chiuso, un peccato. Avrei voluto dirgli che il mal di gola m’era venuto, ma che, tutto sommato, ne era valsa la pena.