Sarebbe impossibile cominciare a parlare di Vulnicura senza analizzare quanto successo soltanto poche settimane fa: a distanza di pochi giorni dall’annuncio del nuovo album di Björk è già disponibile un leak dell’intero lavoro. Circostanza che costringe l’artista e la One Little Indian ad anticipare l’uscita dell’intero album di ben due mesi.
Derek Birkett, founder e proprietario della label britannica si trova a consultare una serie di amici – tra cui Arcade Fire e Scott Rodger, manager di Paul McCartney – prima di decidere del destino del disco. Quindi la decisione di rilasciare tutto l’album in digitale, in esclusiva per iTunes, con la consapevolezza di stare lì lì per perdere una grossa cifra (dovuta a tutta una serie di accordi che saltavano) e con problemi susseguenti, forse, non ponderati abbastanza. Amazon aspetta qualche giorno prima di supportare l’uscita di Vulnicura mentre, ad esempio, Rough Trade Germany interrompe la relazione con la label per quanto riguarda la distribuzione fisica del disco.
Al momento Björk non pare intenzionata a perseguire penalmente il responsabile della comparsa del leak, cosa che invece è stata portata avanti da Madonna nei confronti dell’hacker israeliano che aveva diffuso in anticipo il disco di Ms. Ciccone.
Henry Jenkin, nel suo testo sulla convergenza culturale e dei media, parla di spoiling come forma di intelligenza collettiva. Con una piccola forzatura si potrebbe estendere tale discorso al caso in questione, analizzando come dal basso, le comunità di fan stiano stravolgendo il mercato musicale. Si apre, come accade sempre più frequentemente, una battaglia fra il mercato musicale e quello non ufficiale, che alle volte rovina pianificazioni frutto del lavoro di anni. Insomma, “guastare la festa” è lo scopo; o meglio, anticipare tutti sul tempo grazie alle modalità bottom-up e far emergere i lavori in netto anticipo, più per il gusto di una condivisione immediata che per rovinare i piani marketing delle label, crediamo. Quanto accaduto con Vulnicura dovrebbe fornire diversi spunti di riflessione sulle modalità di fruizione e, di conseguenza, su alcuni cambiamenti che subiranno o dovranno subire gli ingranaggi della distribuzione. Non sono la persona più indicata a suggerire la strada migliore ma, senza dubbio, quanto accaduto con il disco dell’artista islandese segna una sorta di grado zero da cui attendere mutamenti definiti.
In fondo è una questione di rispetto, come di rispetto parla l’intero ultimo album di Björk. Un disco figlio della separazione e dell’abbandono. Sofferto ed emozionale, come è inevitabile che sia quando di mezzo ci sono anni di vita persi in pochi istanti.
Le co-produzioni di Arca (che di Björk è grandissimo fan) e Haxan Cloack (quest’ultimo attento particolarmente alla fase di missaggio) si fanno in un certo senso marginali, presenti sì ma con moderazione, lasciando spazio al centro del discorso: le impressioni e il turbamento dell’artista islandese sono il fulcro da cui si dipana il discorso Vulnicura. Un album intenso e delicato, fatto di drammaticità orchestrale ed intimamente futurista, dove le partiture di batteria rappresentano, forse, la maggior concessione ai due collaboratori. Un po’ come era stato per i Matmos in Vespertine ma diverso dai contributi, ad esempio, di Mark Bell, Howie B o Nellee Hooper per alcuni degli episodi precedenti della carriera di Björk.
Vulnicura si allontana da alcuni sperimentalismi forzati e ultra concettuali che erano propri di Biophilia ma anche di Volta. Ci troviamo difronte ad un lavoro che si spinge in avanti facendo qualche concessione al passato, avvicinandosi alle armonie di Vespertine, seppur in maniera marginale e non universale.
Le parti orchestrali, curate dalla stessa artista islandese rappresentano una delle cose più belle e riuscite del disco, un album che non ha la pretesa di suonare immediato – la lunghezza infinita di alcuni brani è scelta stilistica precisa – ha bisogno di tempo ed ascolti. Ci sono sentimenti che devono essere compresi in pieno ed hanno bisogno di tempo, molto, come se dovessero essere esorcizzati e poi fatti propri, interiorizzati e resi vivi.
Come non succedeva da molto tempo siamo davanti ad un disco di Björk, che è suo e di nessun altro, di nessun co-produttore o collaboratore. Vulnicura parla di un pezzo di vita, prolungato, intenso e totalizzante che non sarebbe potuto essere descritto da nessuna altro se non dall’artista stessa. Ed è per questo motivo che l’album tende, in alcuni momenti, a toccare gli umori di Homogenic o altre creazioni del passato. Come un percorso che esorcizza montagne di paure, va a suturare una mancanza attraverso il ricordo e il suo spingersi verso il futuro, modificandosi costantemente. Björk è passata da un disco sull’universo come Biophilia ad un’analisi su se stessa, con il risultato di un album personale (every single fuck) come pochi altri prima.
Non so ancora se si tratti di un album eccezionalmente bello in senso assoluto. Certamente è una delle cose più violente e dense che mi sia capitato di ascoltare da parte sua. Ed è tutta una questione di rispetto emozionale.