Ci vuole del coraggio a far un disco sull’amore. Ne sono fermamente convinto. Ci vuole del coraggio nel provare a mettere la parte più fragile di sé, quella più vulnerabile, in mostra, esprimendola sotto forma del più grande mezzo di comunicazione di massa: la musica. Giulio Fonseca, invece, non c’ha pensato su un attimo, ed ha deciso di lasciarsi trasportare dai sentimenti, di musicarli e di condividerli con tutti.
“A Love Explosion” è il nuovo disco di Go Dugong, che arriva improvviso, così come fa l’amore. 10 tracce calde, coerenti, che riescono a trasmettere un’unica sensazione di gioia, la gioia senza apprensione, quella, semplicemente, bella.
L’album uscirà il 10 febbraio per Fresh Yo! curato anche da Bizarre Love Triangles. Ho avuto il piacere di chiacchierare a lungo con Giulio, un’intervista durata 4 giorni. Parlando dell’album si è finiti a guardare in maniera parecchio introspettiva nella sua vita, con della musica che da un’esplosione d’amore personale è presto diventata qualcosa di più.
Come si riesce a veicolare una love explosion in musica? Immagino sia tremendo. Bello, ma tremendo. Com’è stata la lavorazione?
No no, perché tremendo? Anzi tutto il contrario. Faccio sempre un po’ fatica a gestire le mie emozioni e questo è, spesso, per non dire sempre, un punto a sfavore nella mia vita in generale. Se non avessi catalizzato tutto su questo disco in quei giorni sarei “esploso” per davvero (ride). Quindi è stato un po’ un rubinetto, una valvola di sfogo. Per quanto riguarda la lavorazione, l’album è stato composto e registrato nell’arco di una ventina di giorni a cavallo tra le vacanze di Natale e i primi dell’anno. Non mi sembra nemmeno di averlo fatto io tanto è stato veloce il processo e tanto si discosta dalle mie cose precedenti e dal materiale su cui stavo lavorando. Ho cominciato abbozzando le prime cose durante notti insonni in alberghi e in treno tra un live e l’altro, in condizioni di scarsa lucidità e con lei in testa. Successivamente ho rifinito alcuni dettagli e risuonato delle parti una volta tornato a casa. Non prendevo in mano basso e chitarra da anni ormai. Una volta realizzato quello che avevo in mano ho sentito la necessità di farlo uscire subito, prima dell’altro materiale su cui stavo lavorando da due anni (che è quel mix di world music che sto portando in giro nei miei live). All’inizio pensavo a un uscita indipendente da etichette perché credevo implicasse troppo tempo (si sa che i tempi per programmare una release sono piuttosto lunghi). Poi è successo che gli amici di Fresh Yo! (con cui ho passato capodanno e diversi giorni durante le vacanze di Natale per lavorare su altro materiale) e di Bizarre Love Triangles (che mi cura tutta la parte di management già da diverso tempo) dopo aver ascoltato i pezzi, hanno preso a cuore tutto il progetto e si siano dimostrati ben disposti a supportarmi e sopportarmi nonostante i tempi cortissimi da me imposti. In ogni caso l’idea rimane quella iniziale: free download senza troppe strategie e meccanismi per fare hype. Volevo preservare la cosa, mantenerla pura e libera e così sarà.
Sto ascoltando il disco in loop, e la prima cosa che mi viene in mente è che emana energie positive. È un modo nuovo di far un disco sull’amore, che in genere risultano più tranquilli e cupi. È stato voluto sin dall’inizio? E se sì, perché?
Non è che è stato voluto, ero proprio così in quel momento (e forse lo sono tutt’ora). Ero preso bene e i pezzi riflettono quello stato d’animo. Più che sull’amore forse è un disco su quel momento appena prima dell’amore, quando non conosci così bene una persona per amarla ma muori dalla voglia di farlo. Se ci pensi bene è un momento incredibile perché l’immaginazione e la fantasia vanno a mille e sei davvero carico di energia positiva, che poi è quella che ho riversato in maniera molto istintiva anche nel disco.
Sono assolutamente d’accordo. Credo sia quello che rende così magico l’amore, che ci manda tutti così in estasi. Ci vedo, o meglio ci sento, suoni molto 90s nel disco, una “ritmica” molto hip hop da un certo punto di vista, a cui hai cercato di inserire qualche elemento di world. Quanto sono vicino alla soluzione dell’enigma?
Non so se sei molto vicino. Cosa ci senti di world?
Qualche ritmo, richiami. Cos’è che volevi proporre con questo disco? Mi pare molto diverso da “Was”
Le uniche cose “non italiane” che ho usato per questo disco sono di Hugh Masakela, un jazzista sudafricano e qualcosa di Jerry Butler. Ma davvero poca roba.
Beh, “Was” si chiama così appunto perché rappresenta il mio passato, chiude un ciclo.
Mi sento molto libero musicalmente parlando, non mi interessa andare a parare per forza da qualche parte. Tutte le volte è un’esperienza nuova e un nuovo capitolo. Non mi interessa fare dischi fotocopia, così è molto più divertente. Poi può sembrare che non abbia un mio stile e una personalità, magari non mi interessa comunicarla con la musica. Le prossime cose saranno diverse ancora. È vero, potrei usare altri pseudonimi, ma perché mai? Alla fine tanto son sempre io.
È interessante questo aspetto, anche perché c’è chi, in questo preciso momento storico caratterizzato da migliaia di tracce caricate ogni giorno sul Soundcloud e Bandcamp, preferisce prendere una direzione precisa, magari anche correndo il rischio di limitarsi.
Dici come ascoltatore o musicista?
Musicista. Era una considerazione più che una vera domanda.
Sì certo, volevo capire meglio. Non fa per me comunque, mi annoierei tantissimo.
Mi sembra che si cerchi di produrre “sempre le stesse cose” (magari esprimendo altre influenze nei DJ set), per avere una direzione precisa. Anche usando pseudonimi come dicevi prima te.
Comunque ti racconto una cosa: come ti accennavo prima sono due anni circa che sto lavorando su un disco con influenze world ed è più di un anno che lo porto in giro con i miei liveset. Sarei dovuto uscire con quella roba come primo disco. Ho ritardato tanto i lavori perché gli ultimi mesi della mia vita sono stati un po’ travagliati e ho perso il giro.
Non avrei voluto che il mio “primo disco” seguisse l’onda creata in Italia da Populous o Clap Clap che sono usciti l’anno scorso con due disconi. È vero che la mia roba è molto diversa, molto più verso l’hip hop, psichedelia e certe sonorità 90s anziché una dimensione più da dancefloor e più moderna a livello di sound. Comunque l’approccio alla ricerca è più o meno quello, quindi sarebbe stato naturale per la critica fare certi accostamenti. Quindi ringrazio il cielo che mi sono fottuto il cervello e ho finito quest’altro disco prima del “disco”. L’altra roba world uscirà, ma quando sarà un po’ meno in voga.
Mi chiedo sempre, quando escono dischi così personali, cosa pensi che proverà la persona dalla quale il disco prende ispirazione ascoltandolo? Te lo chiedi mai? E, soprattutto, può condizionarti?
La risposta alla fine è semplice e sincera: non ne ho idea. Nel senso che la persona alla quale è ispirato l’ha ascoltato e non si è sbilanciata molto (so che non è il suo genere però (ride)). Non ci si conosce bene, ma penso sia una persona che abbia bisogno dei suoi tempi e apprezzo molto questo aspetto. No, non mi condiziona assolutamente quello che può pensare, sapevo che le probabilità che non le fosse piaciuto sarebbero state alte ma non ho mai iniziato a fare questo disco con l’obiettivo/pretesa di piacerle musicalmente. Anche perché non avrei saputo farlo in altro modo se non così. Se mi condiziona emotivamente invece sotto altri punti di vista? Nemmeno, non più di tanto. Sarebbe assurdo aspettarsi indietro qualcosa per forza e non l’ho fatto con quel fine. E poi questo disco è principalmente su di me, sulle mie emozioni e sensazioni. Non è un disco su di lei (anche se lei è comunque ben presente) e ciò che non riguarda me è pura immaginazione.
Parlavo con Oscar (Cini) del disco l’altro giorno: lui non l’ha ancora ascoltato e mi diceva che tu sei sempre molto molto attento alla ricerca dei campioni. Presumo sia stato così anche qui. C’è qualche sample particolare nel disco, intendo uno che sei stato molto felice di aver trovato.
Sì, il sample per “Imagine Me and You” che è preso da “Capriccio” di Piero Piccioni.
I “parlati” da che film vengono?
Uno da “Il Settimo Sigillo” di Bergman, gli altri riferimenti sono un po’ meno colti… uno viene da “Sixteen Candles” e l’altro da “Il matrimonio del mio migliore amico” (ride).
Un’altra curiosità: i titoli sono ovviamente molto collegati al tema principale del disco, ma da dove viene ogni singolo titolo? O meglio: perché accostare proprio quel titolo a quella traccia? Viene prima il titolo o prima il suono?
Dipende. Nella maggior parte dei casi ho cercato di musicare i titoli. Che poi sono un po’ come delle istantanee di quei momenti. Qualche volta però è capitato che durante le registrazioni mi lasciassi trasportare verso un mood differente rispetto a quello da cui ero partito e di conseguenza ho pensato a titoli più adatti.
C’è qualcosa che non vorresti mai ti venisse chiesta riguardo questo disco?
È la prima intervista che faccio su questo disco e credevo avrei avuto più problemi a parlare di certe cose. Alla fine mi sento abbastanza tranquillo.
Qual è il tuo più grande desiderio? Ovviamente rispetto a “Love explosion”.
Arrivare dritto al cuore, in picchiata. Il resto va da sé.
Credi che questo tipo di album, molto personale, così sentito, sia arrivato nel momento giusto? Rispetto al tuo percorso.
Quando le cose ti vengono così è sempre il momento giusto. Per questo ha avuto la precedenza su tutto.
Certo, però valutando a freddo?
Ti spiego la domanda: un disco sull’amore secondo me è una roba su cui fare molta attenzione perché altrimenti si rischia di banalizzarlo. E invece quando un artista è già formato, con una sua identità, credo riesca meglio (ed è questo il caso), altrimenti forse stona un po’.
No beh se devo valutare a freddo, no, non è arrivato nel momento giusto. Ero bello tranquillo che stavo (finalmente) finendo altre cose ed ero impegnato in altri progetti. Questo disco non so nemmeno come suonarlo dal vivo ancora.
Un disco sull’amore è una benedizione. La senti quando una cosa è studiata a tavolino e quando è davvero sentita. La verità è che basta essere sinceri che poi vedi che non stona nulla. Indipendentemente se hai 17 anni o 33 come il sottoscritto.
C’è una traccia che significa per te qualcosa più delle altre?
Forse la prima del disco: “Dreaming about you every night”. È da dove è cominciato tutto ed è quel pezzo in cui sono riuscito a trasferire meglio quell’atmosfera da sogno, caleidoscopica e lisergica presente un po’ in tutto il disco. L’ho composto la notte tra il 23 e il 24 dicembre in una stanza d’albergo dopo aver suonato. Mi sono svegliato dopo un sogno ed ero così agitato che non sono più riuscito a dormire. Così ho acceso il laptop e ho cominciato a suonare pensando a quella situazione. In quel periodo stavo ascoltando anche tanta roba italiana anni 60/70 (Umiliani, Piccioni, Morricone, Nicolai, ecc…) che cadeva a pennello con il tipo quel atmosfera che volevo trasmettere. È stato tutto immediato: al mattino, quando oramai era ora di ripartire, avevo il pezzo.
“Christmas Angel” invece come si colloca nel disco? Chi è l’angelo di Natale?
LA (Si pronuncia “è lei”). :D
“Angel” è anche un riferimento alla figura della “donna angelicata”.
“Christmas” è perché quando l’ho registrata era Natale, nessun riferimento strano.
Proviamo a far una cosa? Io ti dico qual è la mia traccia preferita, e tu provi a dirmi perché. Ti va?
Sì dai, facciamolo.
Mi sono innamorato di “I would tell you many things”, è come se la conoscessi da sempre.
Tra quelli che hanno ascoltato il disco a molti è rimasta impressa quella traccia e anch’io ci sono molto affezionato. È un pezzo molto tenero e gioioso, davvero lo-fi e caldo. Ci sono dei samples ma sono quasi irriconoscibili; sono presi da materiale di Armando Trovajoli. La linea di piano prende spunto dal pezzo “Tema per Luciana” tratto dal film “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola e la chitarrina acustica che senti assomiglia molto a quella del pezzo “Adramlek” tratto dal fim “L’arcidiavolo” sempre dello stesso Scola. Forse hai visto questi film, oppure ti ricorda qualcos’altro.
Non so per esempio a me fa venire in mente qualcosa riguardo l’amore adolescenziale.
Credo che sia anche molto femminile. Se dovessi immaginarmi un video, ad esempio, la protagonista sarebbe sicuramente una donna, o meglio una teenager.
Qual è la cosa più bella che hai visto mentre componevi il disco?
Purtroppo non posso farti nome e cognome (sor-ride).
Quindi l’Angel?
Sì, anche se… sai che forse non l’ho proprio vista mentre facevo il disco? Vabbè fa lo stesso… LA comunque.
Allora faccio un passo indietro: dal punto di vista tecnico (dato che abbiamo parlato solo di sentimenti) che tipo di suono volevi ottenere? Sei contento del risultato?
Assolutamente. Suona esattamente come volevo: sporco, caldo e avvolgente. È molto lo-fi. Non riesco a immaginarmi l’amore hi-fi.
Ti sei mai posto il problema che, essendo il tema del disco molto personale, a qualcuno potesse non interessare -che è una cosa che penso di tanti dischi iper-personali?
Essendo strumentale però lascia molto spazio all’immaginazione. Quello che dici tu può valere per ogni disco perché ogni disco che si rispetti ha una storia dietro e quella storia spesso è molto personale.
Sta all’ascoltatore scegliere se identificarsi e fare sua quella musica.
In “Ways to attract your attention” ci sono delle sonorità jazz? Io le sento, vorrei la certezza di non essere impazzito.
Sì, il sample di piano è preso da un pezzo abbastanza jazzato di Piero Piccioni, quindi no, non sei impazzito.
Che ne pensi del ritorno del jazz (supposto che sia mai andato da qualche parte).
Credo che il jazz sia l’elevazione massima della musica, possiede un’anima che non tutti riescono a comprendere. Io per primo non l’ho mai apprezzato se non da un paio d’anni a questa parte. L’ho sempre snobbato e considerato (tranne per alcuni casi) musica per “vecchi”. Sarà che sto invecchiando pure io ma ora quando giro per le strade di Milano non riesco ad ascoltare nient’altro. Ecco, la mia Milano è decisamente jazz. È una musica che si adatta molto bene all’ambiente urbano. Se c’è stata un andata o ritorno non ne sono a conoscenza e sinceramente non ti so rispondere… Però ti posso raccontare una cosa che mi colpito tantissimo positivamente. Ho un amico che si chiama Francesco (in arte Millelemmi) che ogni domenica a Firenze fa questa serata che si chiama “Yes, We Jam!” allo Jazz Club. Qui si esibisce per ore insieme ad altri musicisti in un spettacolo incredibile di improvvisazione tra jazz, funk, soul e hip hop. C’è un bellissimo e folto pubblico, una presa bene mai vista (e conta che c’è ogni domenica), la gente è coinvolta e se la balla. È molto interessante quello che sta facendo perché sta rendendo più fruibile il jazz anche a chi non è un accanito o a chi non ci si è ancora approcciato. È un vero peccato che la cosa sia solo a Firenze (per ora), meriterebbe sicuramente più visibilità.