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È sorprendente quanto sia strano il destino, o caso, fate voi. Proprio l’altro ieri un mio amico, che non sentivo da un po’, mi scrive su Facebook “dovresti fare un pezzo su Drake” (con espressioni giusto un attimo più colorite, dettate dalla romanità del frangente). Solo 24 ore più tardi, Drake pubblica “Jungle” un corto di 15 minuti, in stile documentaristico ma non troppo, che segue il rapper canadese in giro per la sua Toronto, e che pare contenere anche due sue nuove tracce. Diventa ovviamente virale, tant’è che lo vedo pubblicato un po’ d’ovunque su vari social, specialmente quello che intrattiene maggiormente le mie giornate.
Mi ritorna allora in mente la richiesta del mio amico e penso: ma perché a tutti piace così tanto Drake?
Chiariamoci: tra il “tutti” sono compreso anche io che, dopo un (credo) plausibile scetticismo iniziale, mi sono abbandonato alla Drake-mania. Riflettendoci qualche minuto, è singolare notare come Drake piaccia davvero a chiunque. Piace gli addetti ai lavori, tanto che il suo ultimo album è rientrato nelle top 5 di fine anno di mezzo panorama musicale mondiale. Piace all’internet, dove i suoi meme sono tra i più gettonati, e le sue gif stra-inflazionate. Piace al basket, soprattuto dopo che ha rilevato parte della proprietà dei Toronto Raptors (che gli hanno poi dedicato la OVO Night). Piace a tanti artisti italiani, che ne hanno tratto fortemente ispirazione (il più facile esempio è Mecna). Piace addirittura a James Blake, il cui ultimo sussulto di gioia risale probabilmente al momento in cui ha finito il gioco dei Pokemon al Gameboy.
Insomma, non vi sto raccontando bugie, Drake piace. Già, ma perché?
La risposta più plausibile dovrebbe, e potrebbe, essere: perché è bravo. Touchè. Ha effettivamente un gran talento, una discreta voce ed è molto “mediatico”, con quel sorriso che buca il teleschermo. E’ estremamente auto-ironico, una cosa che a noi comuni mortali piace tantissimo. Ma il suo maggiore successo, a parere di chi vi scrive, è l’essere sempre sotto controllo. E, in questo senso, il suo corto ci aiuta a capire il senso dell’affermazione.
Drake sa quando non esagerare, sa essere un cattivo ragazzo (credibile o meno, questo non ha poi troppa importanza) ma sa non andare oltre. Drake può essere un playboy, ma ad un certo punto sa che ha bisogno di innamorarsi. Drake sa prendersi gioco di sé, ma poi tornar serio. Drake inserisce molto rap nei suoi lavori, ma poi nel pezzo di punta del suo disco canta. Drake nel suo “Jungle” sta per fare mille cose, ma poi te le lascia immaginare tutte.
Nel suo “Jungle“, diretto da Karim Huu Du con la partecipazione di Noah “40” Shebib, Drake mette assieme tutte le diverse identità che noi gli accreditiamo, unisce, come giustamente sottolinea The Verge, il Drake artista di successo, al Drake meme di internet. E lo fa, ancora una volta, prendendosi in giro, facendo il duro e con le belle donne. Amalgamando tutto, e consegnandoci il prototipo dell’artista 2k15, dove le pistole e la droga non tirano più di tanto, gli hipster hanno rotto, e il Canada è diventato un posto un po’ meno da sfigati.
Non dico che non possiate chiamarlo parac**o, o forse eclettico. È Drake. That type of guy.
Proprio mentre ultimavo questo pezzo, Drake ha deciso di pubblicare un nuovo progetto “If you’re reading this it’s too late“. 17 tracce, con la partecipazione di PartyNextDoor, Travis Scott, Lil Wayne e altri, che servono a Drizzy ad aticipare il suo nuovo album “Views From The 6“. Non è chiaro se si tratti di un mixtape (per struttura si) o di un album (per distribuzione, cioè iTunes, si). Un altro colpo di Drake, perfettamente a metà.