A volte penso ad un album un po’ come ad una casa. Composta da diverse stanze (le tracce), ognuna con una funzione e un’utilità diversa. Ma ognuna ha bisogno dell’altra per stare in piedi, per esistere. Un album è costruito con lo stesso principio, che risponde al nome di funzionalità o filo logico, cioè, in breve, organicità.
Ma se un album è come una casa, il primo album, come la prima casa, ha sempre un gusto speciale, prezioso. È così anche Filippo Savoia, che è il nome che presumibilmente troverete sul campanello di casa sua, mentre sulla copertina del suo disco c’è scritto ∆ A O. Il 20 maggio uscirà, sulla Twentywax Records, il suo album di debutto “into the ocean”, 10 stanze per raccontare una storia, sicuramente personale, come tutte le case dovrebbero fare.
In occasione delle release, ∆ A O ci ha consegnato “mist”, che vi presentiamo in anteprima. È l’ingresso alla sua musica, il benvenuto, che abbiamo deciso di accompagnare con le parole del diretto interessato. Il massimo dell’ospitalità.
Da dove viene il titolo del disco “into the ocean”? Cosa c’entra il mare con te che abiti a Milano?
Allora, devo fare una premessa: “into the ocean” è un titolo nato alla fine in sostituzione del titolo originario, “moonscape” (la natura c’è sempre ma si passa da “paesaggio lunare” a “nell’oceano”). “moonscape” era nato come concept album in cui veniva raccontata una storia, storia nata sia dalle immagini che evocavano i titoli e i campioni vocali usati (non sono scelti a caso ma “dicono” determinate cose). Poi però il concetto di “moonscape” non mi convinceva più, e ho cercato di mantenere comunque un fil rouge tra i brani.
Così è nato “into the ocean”, dove l’oceano più che reale è metaforico, è il mio immergermi nel mio mondo quando suono, dimenticando tutto ciò che c’è intorno e spostandomi in un’altra dimensione. “into the ocean” è “benvenuto nel mio mondo, buona immersione”. Sicuramente la mia musica mi fa pensare a immagini come la notte, il mare (ergo, anche l’oceano), la pioggia, però lo sento più come una metafora che come qualcosa di reale e concreto.
È quindi il disco “personale” di ∆ A O , racconta la sua di storia. È stato questo il passaggio dal concept album a “into the ocean”? Passare dal raccontare una storia al raccontare di se?
Ci sono diverse letture. Anche “moonscape” raccontava di me in fin dei conti, attraverso una storia che era una metafora, diciamo che ho solo cambiato alcuni titoli per rendere meglio il concetto (ad es. la traccia numero due, prima “moonscape” come il disco, è diventata “chasin’ a light”, perché vedo come immagine qualcuno che corre nel buio nella speranza ti trovare una luce). La storia c’è comunque, più che altro mi piace lasciare a chi ascolta un ampio margine interpretativo. Io so cosa significa per me, poi ognuno la vive e la interpreta a suo modo.
“mist” invece? Come mai hai scelto proprio questa traccia (che oggi presentiamo in anteprima) per anticipare il disco?
“mist” è una traccia un po’ anomala per ∆ A O, nel senso che insieme a “come to me” (edita a natale e ora bonus track del disco in versione rimasterizzata), è la traccia che strizza di più l’occhio all’elettronica “ballabile”, da dancefloor: momenti di cassa dritta, un lungo viaggio, stacchi (drop, se vuoi) e una melodia orecchiabile che ti entra in testa. La cosa che però mi piace di questo pezzo è che pur essendo leggermente diversa dalle mie composizioni solite, comunque ha il mio marchio di fabbrica, si sente il mio stile e il mio gusto per le melodie, per le chitarre e comunque per un suono malinconico di fondo. Quindi ballare sì, ma non solo. Penso che sia un ottimo punto di partenza per chi non mi conosce e vuole approfondire la ricerca. Altri pezzi sarebbero risultati più ostici probabilmente.
È il tuo primo disco, e so che fai studi completamente diversi dalla musica. Come si arriva a scrivere e comporre un album facendo una vita “normale”?
Dopo un’esperienza fallimentare di un anno (credo a 9/10 anni) col pianoforte ma sentendo che la musica facesse parte di me, a 12 anni ho imbracciato la mia prima chitarra (classica ai tempi, poi dai 14 anni elettrica e acustica). Da lì, l’amore: imparati i primi tre accordi a un corso pomeridiano alle medie (la canzone del sole di Battisti) ho iniziato a rivisitarla componendo la mia prima canzone, anche se fa ridere chiamarla così. Da lì un percorso musicale che passa dal metal in ogni sua sfaccettatura, al rock, al blues, al jazz, alla musica celtica, fino poi a (ri)scoprire verso i 18/20 l’hip hop e l’elettronica.
Quindi è vero che i miei studi universitari non c’entrano con la musica, ma la musica l’ho studiata dalle medie all’università, facendo un corso privato con un maestro di chitarra che mi ha insegnato tutto quello di cui avevo bisogno.
Fatta questa (breve!) premessa, il tempo a disposizione di uno studente universitario per la vita in generale è molto poco quindi ho sfruttato le mie notti insonni, restando sveglio fino alle 6 di mattina a comporre (e avendo poi lezione obbligatoria il giorno dopo alle 9 fino alle 18, comodo comodo) l disco è nato ed è stato finito in 2 mesi, tra ottobre e dicembre, per una mia esigenza di rendere concreto tutte le idee che avevo in testa, complici anche l’acquisto di casse e monitor e scheda audio, che mi hanno permesso -finalmente!- di usare la chitarra nei miei pezzi nel modo in cui l’avevo inteso. Prima componevo tutti i miei pezzi sulla chitarra ma poi venivano trasposti sul mac con synth e vst vari. .Per me la musica è un’esigenza, lo faccio per me stesso prima che per gli altri. Ho sempre messo la musica prima di tutto nella mia vita, nei limiti del possibile. Quindi università sì, ma preferisco andarci da zombie con nelle cuffie il pezzo scritto la notte precedente.
Ci siamo sempre ritrovati (sui vari social) ad avere gusti abbastanza simili. Cos’è che ti ha ispirato (musicalmente e non) nella scrittura del disco?
Per rispondere faccio una carrellata di nomi, di cui si può sentire l’influenza come anche no: l’ultimo album di Caribou, FKA twigs, SOHN, Burial, Tycho, Bad vibes di Shlohmo, James Blake, Jai Paul, Mount Kimbie, Bon Iver Flume, Kanye West, Kendrick Lamar, Drake, Pink Floyd, U2, Genesis, Killswitch Engage, Dream Theater, e tanti altri. Musica a 360°. Nell’hiphop italiano, Dargen D’amico, Ghemon e Mecna. Ma soprattutto, ed è una mia crociata personale diffonderlo alla gente, Kashiwa Daisuke. Il mio artista preferito in assoluto.
Di non musicale, la vita: l’amore, gli sbatti di ogni giorno, i problemi, i ricordi. Detta così suona banale ma non penso ci sia niente che ispiri un artista più della sua vita.
Ci racconti qualcosa in più del teaser (che a me piace davvero tanto) del disco, uscito qualche giorno fa?
Io e il mio socio a delinquere Matthew Twicetrue (il sant’uomo che mi cura tutto l’aspetto visivo, logo, grafiche, video, immagini, foto) fin dal giorno zero, volevamo creare un video che fosse evocativo e avesse un significato.
Per prima cosa abbiamo scelto la traccia da utilizzare: non era facile visto che – come ho detto- le mie tracce mi evocano determinati paesaggi, ma alla fine la scelta è ricaduta su “ritual”. Da un titolo del genere, mi è venuta l’idea di fingere di creare un rito nei boschi, solo che visto che Milano non è proprio in mezzo alla giungla/foresta, diventava complicato realizzarloMa l’idea del logo ricreato con ramoscelli e sassi mi gasava troppo e la volevo realizzare. Da lì l’idea di farlo in stopmotion (la mia schiena soffre ancora, 2 ore piegato a togliere ramoscelli e sassi!) alternandolo a immagini quasi statiche (una sorta di foto in movimento), di me nel bosco
Siamo molto soddisfatti del risultato, e ho ricevuto vari complimenti quindi sono molto contento!
In generale ∆ A O è un nome con dei significati mistici, il logo l’ho creato io a partire da quelle lettere e poi grazie a Teo (Matthew Twicetrue) l’abbiamo sistemato e reso quello attuale. Quindi il concetto di rituale, di strani simboli ricreati nel bosco e della natura come padrona mi interessano molto.