“Why do we dream in black and white? Colour me blind.”
È evidente come Jamie non sia cresciuto con il rock duro degli Extreme, ma ascoltando il suo album di debutto da solista è facile immaginarselo mentre si pone più o meno la stessa questione: perché non sognare a colori?
Vestito solo di nero, con lo sguardo timido nascosto da un ciuffo morbido di capelli, Jamie Smith si è perfettamente mimetizzato in quell’universo melanconico dipinto nei toni del grigio, che ha creato con i The XX, insieme a Romy Madley Croft e Oliver Sim. Con loro ha frequentato la Elliott School di Putney a Londra, una scuola pubblica che, negli anni Novanta, ha ospitato tra i suoi banchi alcune delle gemme più preziose della musica britannica, come William Bevan (Burial), Kieran Hebden (Four Tet) e Joe Goddard (Hot Chip e The 2 Bears).
Quello in cui è cresciuto Jamie è un contesto culturale benedetto dall’angelo della creatività: ha cominciato a 17 anni a frequentare il Plastic People, dove ha conosciuto il genio molteplicemente sfaccettato di Floating Points e gli esperimenti eclettici di Four Tet, mentre lo stesso Smith suonava al The Lock Tavern, alternandosi a nomi come James Blake, Mount Kimbie e Joy Orbison. La produzione artistica di Jamie XX affonda le sue radici nella scena clubbing, e il desiderio di far ballare la folla altro non è se non un seme che finalmente ha dato i suoi frutti più belli: In Colour è una vera e propria presa di coscienza, maturata nell’arco di sei anni e diventata il manifesto colorato di quell’effetto terapeutico che la musica Dance può avere sugli animi più esasperatamente malinconici.
Jamie era in tour con i The xx, quando ha cominciato a ritagliarsi del tempo in solitudine per lavorare a qualcosa di profondamente personale, spinto soprattutto dalla sensazione di estrema nostalgia di chi ha sempre vissuto in totale simbiosi con la propria città; lontano dalla sua Londra, era convinto che gli stesse sfuggendo una parte importante della metamorfosi veloce della metropoli, e provava a ritrovarne l’essenza costruendo un puzzle di suoni e immagini, capace di riportarlo in una Londra nella piena brillantezza della sua gloria: ha scoperto Fiorucci Made Me Hardcore, il video-collage del 1997 di Mark Leckney sulla Dance Culture britannica e si è dedicato al rispolvero dei broadcast delle radio pirata. Jamie brama e glorifica un passato che non ha mai vissuto, come nel suo omaggio ai ritrovi nelle warehouse illegali del singolo All Under One Roof Raving (2014); nutrendosi di una pluralità di generi e di esperienze percettive come fossero i singoli spettri cromatici della luce, ha definitivamente fatto germogliare un seme coltivato fin da giovanissimo, il cui primo frutto è Gosh: una splendida marcetta post dubstep, concentrata come un succo vitaminico fatto di una moltitudine di mini loop, su cui spicca il campione di un episodio mai andato in onda dello show radio One In The Jungle; chi ascolta nei club, alla radio o dalle cuffie, balla fin da subito ma Jamie, nella solitudine del suo studio, ha appena cominciato a tenere il tempo.
Il ritmo e l’atmosfera di Sleep Sound, che quasi ricordano l’ultimo Jon Hopkins, trasformano in vibrazioni l’energia di un crescendo emozionale, di cui si ha un apice già in Seesaw, che è il risultato magnifico e commovente della collaborazione con Four Tet. Le sensazioni raccontate sono profondamente diverse da quelle a cui i The xx ci avevano abituati, ma ne tengono memoria: Obvs è l’ovvia immagine della tela bianca e nera che assorbe avidamente i colori di un dipinto a tinte forti, tradotta in quell’arpeggio che suona come uno xilofono e che è evoluzione di quello già sentito in “Coexist”. La narrazione si spinge fino ai luoghi caotici di Loud Places, quelli in cui Romy Croft racconta la ricerca di un’affinità elettiva capace di riportare la quiete, ma il campione di Idris Muhammad canta fiero di aver raggiunto la vetta più alta di sempre, e vien da pensare che in questo ritornello si nasconda il pensiero di Jamie stesso. La consapevolezza di poter portare a nuova vita i fasti del passato, sotto forme contemporanee, si esprime pienamente con I Know There’s Gonna Be (Good Times): il sample del pezzo in stile barbershop dei The Persuasion si fonde magicamente con la voce di Young Thug, mentre Popcaan costruisce una dancehall che è pura celebrazione.
“In Colour” è un disco che divora e viene divorato avidamente e rappresenta l’altissima maturità di un artista in grado di mostrarsi colto, poliedrico e geniale, senza rinnegare il carattere schivo con cui si è sempre presentato. Privo di virtuosismi intellettuali o particolari digressioni tecniche, è un lavoro che racconta un processo semplice. La questione è pienamente risolta: in 11 tracce Jamie XX sviluppa un’efficace musicoterapia, traducendo in ritmo e melodia l’intima crescita di chi ha scelto di vedere la musica, la gente, la vita stessa con occhi diversi, finalmente capaci di apprezzare tutti i colori di un caleidoscopio. Suona come un capolavoro; ma forse non lo è. La cosa certa è che sarà difficile farne a meno.