…dove eravamo rimasti.
Beh, non è passato tanto tempo, a dirla tutta. Un mese, forse. Non di più.
Eppure sembra che tra Depression Cherry, album pubblicato dai Beach House il 28 Agosto scorso, e Thank Your Lucky Stars, secondo album annunciato come un fulmine a ciel sereno una settimana fa, sia trascorsa un’infinità. Due album nello stesso anno – a distanza di meno di due mesi l’uno dall’altro. Ma cosa stanno facendo?, mi sono subito chiesta, esaltata eppure spaventata dalla notizia. Ma soprattutto: come considerare Depression Cherry alla luce di quest’ultimo arrivato? Che lettura dare a questa mossa? Victoria e Alex sono completamente impazziti? Che aspettative avere da questo disco? Beh, se sarà una caduta, farà malissimo. E se sarà un passo in avanti, in che direzione ci porterà?
Vi rincuoriamo subito: i ragazzi stanno bene, anzi benissimo. Thank Your Lucky Stars è un ritorno – in tutti i sensi. Un ritorno a se stessi, lì dove batte il cuore. Un ritorno alla casa sulla spiaggia (appunto, beach house), luogo intimo e pregno di ricordi, intenso e puro, dove si è un po’ nudi e a distanza ravvicinata. Dove ci si guarda negli occhi stanchi e ci si ritrova: siamo noi, siamo sempre noi. Scosta un po’ i capelli, guarda nelle pupille, accarezza la guancia. Siamo noi. Forse col viso un po’ segnato, contro il muro un po’ scrostato. Ma siamo noi. Ti sento. Come eravamo. Con lo spirito di una volta, ora torniamo in quel luogo per continuare un discorso. Sì, abbiamo ancora qualcosa da dire. Sono passati degli anni, certamente, siamo diversi – eppure.
C’è una dose di amore non indifferente in Thank Your Lucky Stars: un amore mai sopito che ha sonnecchiato per anni sotto le braci ardenti. Un amore per la semplicità e l’immediatezza, un amore che scorre naturale. E quando c’è, allora ha poco senso chiedersi perché due album a distanza di due mesi. Quelle canzoni, ci dicono Alex e Vic, sono sgorgate spontaneamente dopo le composizioni di Depression Cherry per poi essere registrate durante la stessa sessione. Si spiega quindi il temporeggiamento (coinciso con la mancata promessa di un album ogni due anni che ha fatto sussultare i fan più devoti) e la mancanza di notizie sul gruppo. Ma eccoci qui. Il senso del ritorno per i Beach House è questo: mostrare due facce della stessa medaglia. Da una parte la magniloquenza pop, rifinita e lucidata, di Depression Cherry e dall’altra il piccolo mondo antico sabbioso (pur sempre di beach house stiamo parlando) di Thank Your Lucky Stars.
Questo secondo disco, dicevamo, è un ritorno. Un ritorno a certe atmosfere intime e scheletriche dei primi due dischi. Ma, attenzione, i Beach House non fanno la mossa del gambero. E’ un ritorno al futuro, un po’ come se Vic e Alex avessero fatto il gioco del what if: cosa succederebbe se tornassimo indietro di 7 anni con la mente, i corpi e la coscienza di adesso?
Thank Your Lucky Stars è la risposta. Un disco obliquo come lo era esattamente Devotion, in cui le linee melodiche appaiono in continua evoluzione, un costante anelare in spirale, con soluzioni armoniche felicissime (per chi scrive, tra le migliori mai sperimentate dai nostri) e spiritate, fantasy e noise, mistiche e ostinate, in cui la voce di Vic è così bella da essere tridimensionale, splendida e sentita, e la chitarra di Alex, beh, non è mai stata così libera di scorrazzare disegnando paesaggi sonori mozzafiato.
Difficile raccontarvi le atmosfere dei brani, uno più affascinante e immaginifico dell’altro: senza dubbio spicca One Thing, il brano più Galaxie 500 che i nostri abbiano mai fatto (vi prego quell’assolo finale alla George Harrison! – potrebbe durare secoli), nonché un mantra in cui le chitarre si rincorrono come lupi nella steppa, selvaggi e liberi; ma anche il chewing-gum in ralenti di All Your Yeahs, connotato da una limpidezza inusuale che è ben controbilanciata dalle chitarre in odor di Cure; la cavalcata di The Traveller, con uno sviluppo melodico di una bellezza e potenza palpitante; impossibile non menzionare Elegy to the Void: un brano eccezionalmente ottantone (Neverending Story vi dice qualcosa?) che sa di nuvole e nebbia nei primi 2 minuti per poi aprirsi e respirare in un’altra dimensione – che di sicuro non appartiene a questo mondo; e ancora il finale emozionante ed emozionato di Somewhere Tonight. E’ notte e siamo in groppa ad un cavallo sulla giostra di Coney Island. In lontananza un organetto sghembo, due palloncini colorati che volano, lo zucchero filato che prende forma sul bacchetto. E davanti a noi la pista da ballo, l’incantesimo, la spiaggia e il cielo stellato.
Ringraziamo le nostre stelle fortunate: i Beach House sono tornati – di nuovo. E non sono mai stati meglio di così.