“Persona” il secondo disco di Urali è uscito lo scorso 11 gennaio. Qui Ivan Tonelli sceglie 10 tracce per iniziarsi alla drone music.
«Non so bene se “drone” sia un genere. Magari anche le band definite drone si incazzerebbero. E neanche io ci sto bene dentro. Credo che sarebbe meglio dire che a certe band piace molto il sustain infinito (diciamo il far vibrare a lungo le corde). Dilatare e comprimere di colpo, distorcere e poi ripetere tutto all’infinito. Questo è quello che adoro, nei suoni, nella scrittura dei pezzi degli artisti che mi piacciono. Un amico dice sempre “se non c’è il primo non mi siedo neanche a tavola”, ecco io dico che se non sto male al primo ascolto non mi metto neanche le cuffie.»
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Earth – Raiford (The Felon Wind) (da Hex; Or Printing In The Infernal Method, 2005)
I pionieri del doom-drone. Questo disco è costruito quasi su un accordo solo.
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Hate & Merda – Pietà (da L’anno dell’Odio, 2014)
Sono italiani e sono incredibili, dal vivo poi ti macinano il cervello.
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Sunn O))) + Scott Walker – Fetish (da Soused, 2014)
Il disco con Scott Walker è la cosa più sorprendente (ma anche naturale alla fine) che potessero fare. Avanguardia pura. Anche io voglio fare un disco coi Sunn O))) a 73 anni.
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Sun Kil Moon – Salvador Sanchez (da Ghost of The Great Highway, 2003)
È forse l’unico pezzo di Kozelek col gain sopra il livello 5. Non ha nulla di drone, ma l’accordatura in SI, la ripetitività me lo fanno assimilare emotivamente alle cose qui sopra.
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Arthur Russell – Hollow Tree (da Another Thought, 1994)
Ecco lui nell’86 faceva i dischi con violoncello distorto, voce con l’eco e drum machine. Voi cosa facevate? Ah e nel tempo libero ha inventato la dance che si sarebbe sentita nei ’90. E ha fatto non so quante canzoni country. Il migliore.
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Gravenhurst – Farewell, Farewell (da Western Lands, 2007)
Li ho conosciuti con questo pezzo. Un liquido amniotico di chitarre, un pattern di valvolone. Una voce stupenda. E lui non c’è più.
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My Bloody Valentine – To Here Knows When (da Loveless, 1991)
Loro tocca metterli, però dal vivo m’aspettavo più volume. Però il drone di 10 minuti extra scaletta l’hanno fatto ed è stato come fare il bagno nel suono.
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Velvet Underground – Venus In Furs (da Velvet Underground, 1967)
Alcuni critici dicono che Heroin è il primo pezzo drone. Per me più questo.
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The Beatles – Eleanor Rigby (da Revolver, 1966)
Alle elementari ascoltavo questa canzone e impazzivo sulla voce che galleggiava su questo mare in piena di archi. Non sto dicendo che è un pezzo drone, però ammettiamo che è un po’ matto.
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Mount Eerie – Wind’s Dark Poem (da Wind’s Poem, 2009)
Solo lui potrebbe essere così pop sopra un totale marasma di chitarre, suoni, venti, lupi, mari, montagne. Fate finta che ci siano anche i The Microphones in questa playlist, ovviamente.