Il 2016 è ormai iniziato e non potevamo non partecipare al simpatico giochino in cui facciamo un po’ di nomi su cui puntare per il prossimo anno. Ne abbiamo selezionati 12, spieghiamo un po’ di cose e soprattutto ve li facciamo ascoltare.
Buona scoperta!
Testo: Dariush Aazam — Artwork: Martina Bliss
ALLAN KINGDOM
Si respira sempre un po’ di saggezza, tra le montagne. Allan Kingdom ha origini sudafricane tanzaniane, conosce bene sentieri ritmici complessi e caldi. È però nato ventidue anni addietro in Canada e cresciuto in Minnesota: lì c’è abbastanza silenzio perché l’eco spaventi, e The Peanut Butter Prince ha affinato l’arte di utilizzare la voce come uno strumento. Per generare molti dei suoi beat, il ventiduenne parte proprio da un semplice loop vocale. Note scomode, acuti insoliti, una pronuncia bizzarramente ordinata, come i sempreverdi che vegliano su di lui. L’anno scorso ha ricevuto il co-sign per eccellenza, sbraitando un ritornello al live di Kanye ai BRIT Awards. Ha aperto l’anno nuovo con un album gratuito: la maggioranza dei beat è di produzione propria, con l’aiuto di Plain Pat (scopritore, a suo tempo, di Kid Cudi), i vocalizzi sempre più orecchiabili, i flow ancora più vari degli esperimenti del suo mixtape uscito nel 2014. Pochi featuring, ma d’impatto: DRAM e Chronixx cancellano le possibilità di inciampare nella monotonia dell’ascolto, e suona tutto come una reciproca spinta alle loro carriere in ascesa.
Allan Kingdom è nella foresta, ci costruisce un parco giochi. Sa che tutti lo guardano, e un po’ alla volta accontenta tutti, chi vuole le sillabe divaricate, chi è più a proprio agio sotto le vocali chiuse.
Si muove al tempo che preferisce, e con la sua stessa naturalezza aspettiamo le cose buone che covano gli abeti.
Nel 2016 aspettatevi kicks e bassi meschini, e circondatevi di synths colmi di vita.
Le luci del Nord sono uno spasso.
D.R.A.M.
Per raccontarlo basterebbe Cha Cha: basterebbe sentirla, o prendere parte alla speziata e impenitente festa qual è il video del singolo. Un energico, per forza buffo pogo di persone felici. Ma se serve un ritratto estetico, è facile anche questo: dreadlocks numerosi, un sorriso tanto largo e inebriato da sembrare un disegno, magari di un bambino nel giorno in cui riceve un Nintendo 64. Il riferimento ai videogiochi non è casuale. La sua hit campiona l’OST di Super Mario World, oltre a condividere un sample con Hotline Bling, ancora più definibile hit dell’anno. La copertina del suo Gahdamn! EP lo ritrae in versione fumetto, intento a sconfiggere una sorta di Godzilla, più alto di un grattacielo ma non più grande di lui. L’atteggiamento autoironico del rapper e cantante virginiano (nato tra l’altro in Germania, forse solo per farci ridere un po’ di più) non è affatto la sua unica arma; si avvicina con spontaneità sia al drill-rap sia all’r&b più sdolcinato, senza mai innervosirsi. Il suo 2015 è stato travolgente e totale, con collaborazioni progressivamente più rilevanti: da DP ad Allan Kingdom, da SZA a Chance The Rapper. C’è anche un co-sign da parte di Rick Rubin; si ride.
POST MALONE
Internet è un luogo magico, lo sappiamo. L’anno scorso la rete ha perpetrato uno dei suoi soliti miracoli: un giovane privo di rilevanti doti canore, all’apparenza un rapper emergente qualunque, è stato ad un tratto osannato letteralmente da chiunque. White Iverson è diventato un tormentone in brevissimo tempo; proprio come capitò a The Answer in NBA, nessuno avrebbe scommesso su Post Malone. Era un texano di nemmeno vent’anni, con qualche modesto mixtape in vista. Poi qualche contatto azzeccato (in particolare Fki, due producers alleati di Makkonen e compagnia) e un’invidiabile disinvoltura nel plasmare ritornelli tanto attraenti da creare dipendenza, ed eccoci a nutrire rispetto. A marzo 2016 uscirà il suo primo album, e nel frattempo pubblica singoli prodotti da nomi giganti (Shlohmo, tra tutti), collabora con Young Thug, Gucci Mane, 50 Cent e altre eminenze dello street-rap, e compare nel venturo album di Kanye: tutto promette bene.Internet è un luogo magico.
WIKI
È sfacciato, è sdentato. Ha solo ventidue anni, ma ha la fiducia di chi ha già scalato scogli scoscesi. Il volto dei Ratking ha raggiunto i riflettori seguendo una via insolita, non scontata: l’asso di Patrick Morales è l’energia di cui sono intrisi i suoi live. La filosofia del suo hip-hop comanda di non risparmiare nessuno, nemmeno se stessi. L’integrità creativa e poetica di Wiki si è rivelata il più logico punto di contatto con il grime britannico. Sentenze mai filtrate, un tono intoccabile, verità per chiunque la voglia sentire. Dopo il tour con Earl Sweatshirt –con cui compete più che dignitosamente in una traccia di I Don’t Like Shit– e con i Death Grips (a proposito di rabbia dal vivo), Wiki ha pubblicato il suo debutto solista proprio allo scadere del miglior anno della sua carriera. La produzione non è più esclusivo appannaggio del fidato e saggio Sporting Life, ma passa in mano, tra gli altri, a Madlib, Kaytranada e Lee Bannon. Compare nel disco anche Skepta, a testimoniare le leve di stima che Wiki-One-Eyebrow può permettersi di distendere. Il flow libero e nasale, le influenze pluristratificate -dai Suicide ai Mobb Deep, niente soluzioni di continuità- e l’atteggiamento sfrontatamente coerente rendono Wiki uno dei più interessanti prospetti della new school newyorkese. Come Skepta porta alta la multietnicità di Londra, così il semi-portoricano mette in luce i mille e più piani prospettici dell’arte nella Grande Mela. Nell’anno nuovo, oltre a probabili singoli ed ipotetici progetti, ci aspettano senza ombra di dubbio un mucchio di concerti, tra cui un tour di supporto con i Ratking agli Animal Collective. Tra i pregi della non-industria musicale del terzo millennio c’è la definitiva meritocrazia che incorona la genuinità: ne è prova ennesima l’apprezzamento a 360 gradi di un rapper dedito allo stile diretto dei primi anni duemila, come se Cam’ron e Buckshot fossero di nuovo giovani e folli.
THEY.
A proposito di pop e hip-hop che sfiorano la sinonimia, i THEY. rappresentano una realtà potenzialmente solidissima. Uno dei due è entrato nel raggio della music industry producendo per Kelly Clarkson, Chris Brown e la Nickelodeon, l’altro scrivendo pezzi per Jeremih. In breve tempo, semplici contatti li hanno portati a collaborare con Skrillex, proprio in corrispondenza dell’apice commerciale del super-producer con i capelli lunghi da un lato solo. Collaborazione in linea, tra l’altro, con la loro filosofia alla ricerca di qualcosa che sia duro e melodico allo stesso tempo. Influenze particolari -i New Edition su tutti- attribuiscono loro una facile orecchiabilità, sicuramente grazie al loro passato nell’ambiente. Hi-hats non troppo invadenti, toni di voce ora melodici (saluti a Jeremih, appunto), ora alti e gemebondi (secondo la legge di Young Thug): la radio aspetta. Ora sotto l’emergente Mind Of A Genius Records (con Ta-Ku e Gallant, per dirne due), i THEY. avranno un 2016 di sicura rilevanza, complice un senso estetico-grafico ben delineato, minimalista a sufficienza.
ABRA
Ha il nome di un Pokemon bellissimo, incredibile. Lei è bellissima, e incredibile è l’effetto stordente della sua persona, una volta approcciato il suo pianeta. Abra è l’unica donna del collettivo Awful Media Group, capitanato dal’ipersessuato Father, portatore di un’esasperata dedizione per la profondità di Internet e mai totalmente preso sul serio da tutto il pubblico. Awful sembrerebbe invece essere molto più di un fenomeno passeggero. Circondata da rapper parodisticamente misogini, Abra è riuscita a brevettare in breve tempo delle allettanti specifiche: il suo pseudonimo darkwaveduchess dà indizi sul basso grado di luce in cui l’atlantiana rende al meglio, e lo stile DIY dei filtri vocali le attribuisce un’aura anni ’80 gloriosamente opportuna. Crea tutto in uno stanzino della sua dimora fuori Atlanta, proprio dove si fece notare con cover acustiche di maschilissimi brani hip-hop dei primi 2000. Arrivò a otto anni dall’Inghilterra, presto si isolò in quei pochi metri per sostituire gli amici mancanti con un’enorme bolla di creatività. Non ci resta che sperare ci stia a lungo, il poco ossigeno lì dentro pare proprio quello giusto.
KLEIN
Il mondo moderno è una contraddizione sorridente. È un fingere che tutto sia tranquillamente risolvibile, prevedibile e previsto. Anche nell’arte, l’ordine è un dolce inganno. I font puliti e puri, le tinte unite e gli spazi riempiti dal vuoto: tutto serve ad edulcorare la verità, a posare un velo su ghiacciai e certezze colanti.
Più rischioso, più tormentato è l’approccio di chi sceglie il caos. Lei è una giovane londinese a cui sicuramente non piacciono i giochi brevi. Arrange è una calamità non pronosticata, un’indiscutibile emancipazione dell’imprecisione. Urla tra celebrazione e lamento, incoerenze tanto attraenti quanto casuali, un beat industriale quanto basta per tracciare lo skyline tremolante di Londra: in una (sua) parola, struggle. Il video, in rigorosa modalità VHS, lascia vincere il rosso, che risulta essere il più doveroso ossequio alle percussioni filtrate e rifiltrate. Guarderete il video due volte, forse tre: un trambusto gradevolmente straniante, Ha debuttato live su NTS Radio, e ciò che possiamo attenderci è un mistero. Se avete bisogno di sapere quanto siete reali, se non vi bastano Holly Herndon e Laurel Halo; se nemmeno voi credete che nel 2016 tutti sappiano tutto, ecco Klein.
SAM GELLAITRY
Qualche anno fa, qualcuno coniò il termine wonky. Indicava un sottogenere di elettronica derivativo dell’hip-hop, dai rarissimi suoni analogici e dotato di una luminescenza impressionante. Ogni synth più lustro del precedente, samples di voce a pitch altissimo, ritmi prima allarmanti poi molleggiati (HudMo, Rustie e Joker per maggiori informazioni). Quel preciso etichettamento è svanito, ma ha lasciato una scia di nuovi producers pronti a sfruttarne i principi strutturali. In un sentiero che lega Flume a Kaytranada, a metà strada incontriamo Sam Gellaitry. Parte della variopinta Soulection crew, lo scozzese sta già portando percussioni frenetiche e visioni di gioventù in tour negli States. A nemmeno 19 anni, ha già toccato il milione di ascolti con qualche traccia su SoundCloud, e ha da poco pubblicato un EP su XL Recordings, a dimostrare una maturità artistica fuori dal comune.
Il padre è un costruttore (tessitore, architetto?) di cornamuse: suppongo si senta ben fiero.
SEVDALIZA
Iran e Olanda.
Ritorna e si ripete l’incanto del mescolamento di culture. C’è qualcosa di segretamente caratteristico in Sevdaliza, proprio come altre anime parallele dell’r&B contemporaneo -si pensi a Fatima e Twigs, lì oltremanica con il tè caldo e la pioggerella. Sevdaliza conosce tè caldo e pioggerella, pistacchi e tulipani. Se il vento esagera, un arazzo le coprirà le spalle; se un tappeto ha le frange rovinate, significa che lei stropiccerà la sua, di frangia: si arrangia. C’è freddo e caldo anche nei beat, forgiati con l’aiuto dell’amico Mucky , tendenti ora alle distorsioni e compressioni dell’hip-hop d’era digitale, ora ad un mare jazz cullato dall’ombra dei Dirty Three, a lambire coste gentilissime. Sevdaliza promette bene sia che decida di sperimentare ibridi “rischiosi”, sia che viri verso il pop più rigoroso. A proprio agio con ogni millimetro del suo corpo, e con ogni stridore dell’estetica tridimensionale del nostro tempo -si veda il quasi disturbante video di That Other Girl, realizzato con il collettivo Pussykrew- la ventottenne ha tutte le carte in regola per salpare da Rotterdam, guardare e farsi guardare.
Sentiamo, guardiamo, sentiamo.
KIIARA
Kiiara è rinfrescante, ma familiare. Risultato di un efficace logaritmo tra Jessie Ware e Cassie, nella vita reale è una commessa di un negozio di ferramenta nell’Illinois. Si prevede che con il tempo si liberi di ogni formula precostruita, per diventare un artista discografica a tutti gli effetti. I presupposti sussistono, compresi i contatti giusti: ad ora produzioni di Felix Snow, e remix donati da Felix Cartal e Hippie Sabotage.
Ci ricorderemo di aver già intravisto quella doppia ‘i’.
HANA
Arriva da un posto sperduto nel Montana, ma presto sarà vicinissima a noi e voi e loro. Hana è la voce di supporto ai ritornelli dal vivo di Grimes. Ovviamente, lei cita Grimes come potentissima influenza; il fatto notevole, però, è che la gratitudine sia reciproca: durante il suo tour, Grimes ha lasciato spazio a Hana per una performance da solista, impressionando l’artista e ognuno dei presenti.
Produzione pulita, pop minuziosamente calcolato e plasmato: dalle origini folk, è passata a tendenze elettroniche da quando si è trasferita a LA. Dettaglio: è fidanzata con Blood Diamonds, producer che batte puntualmente il cinque a Justin Bieber e bacia la mano a Madonna.
Ci siamo.
https://soundcloud.com/hanamusic-1/clay
ROY WOOD$
Si sa quanto è alta la soglia di sensazioni notturne necessaria per comparire nel roster di October’s Very Own.
Roy Wood$ ha la versatilità necessaria a funzionare. Classe ’96, dunque ha il tempo dalla sua parte.
Partynextdoor più grammaticamente articolato, The Weeknd più clemente; può contenere tracce di Drizzy.
L’anno scorso è uscito allo scoperto con Exis EP, tenendo alto l’onore di Toronto.
Quest’anno, con l’ausilio delle dovute spinte da parte dei colleghi compaesani, scalerà senza dubbio qualche gradino.
Rendiamo grazie a Michael Jackson.