È uscito a fine febbraio This Life Denied Me Your Love, un nuovo tassello nella carriera di Giorgio Tuma, artista salentino ormai attivo da quasi un decennio che vanta collaborazioni importanti e referenze all’estero di tutto rispetto. Un talento cristallino, apprezzato sempre più in giro per il mondo ma non ancora abbastanza propheta in patria per quanto invece meriterebbe. E infatti This Life Denied Me Your Love di meriti ne ha tantissimi: un’opera complessa, curata nei minimi dettagli, ma che al contempo si concede a ripetuti ascolti in modo sinuoso e avvolgente, senza annoiare mai. Raramente è possibile trovare una ricchezza di ambientazioni così abbondante e personale: psichedelia, folk, electro-pop, shoegaze, dream-pop, lounge music.
Abbiamo fatto una chiacchierata con Giorgio, partendo dall’ultimo album per arrivare ai suoi primi vagiti musicali, passando per le collaborazioni di primo piano di cui è stato protagonista.
This Life Denied Me Your Love è il tuo ultimo splendido disco. Raccontaci come si è sviluppata la composizione dell’album.
Sono stati tre anni lunghi, di tante registrazioni e prove sugli arrangiamenti al computer, periodi di stanca in cui non facevo nulla e altri di attese per ricevere i file dei collaboratori, ma poi alla fine ce l’ho fatta a realizzarlo. Ancora non mi sembra vero…ahah
Già dal titolo è chiaro che nel disco si parli della tua sfera affettiva, ma nell’album hai toccato corde assolutamente universali. Com’è stato lavorare ai testi questa volta?
Parte certamente da un vissuto personale, ma il concetto è universale. Di mio su questo disco ho scritto solo il testo della prima canzone, il cui ultimo verso dà anche il titolo all’album. Il resto è tutto opera della mia amica e collaboratrice di sempre Alice Rossi, ma è come se fossero stati scritti di mio pugno per quanto li senta vicini alle mie melodie. Io e Alice abbiamo lo stesso tipo di approccio alle cose, stessa sensibilità e visione della vita, in due formiamo un songwriter completo…ahah
Quali sono le tue aspettative a seguito della pubblicazione del disco?
Non ho aspettative, quello che verrà sarà ben accolto. E poi oggi un disco ha una vita di un paio di mesi, e sono consapevole che non avendo un ufficio stampa e booking italiano sia tutto più difficile… pazienza.
Anche stavolta hai collaborato con la spagnola Elefant Records. Com’è lavorare con una realtà così rispettata nel panorama musicale mondiale?
Senza di loro non avrei fatto nulla, mi sono stati sempre vicino, aiutandomi in ogni momento della realizzazione del disco.
Una delle cose che mi ha colpito di più dell’album è la varietà delle atmosfere presenti: si spazia dal pop a un gusto lounge a quadretti sonori folk (nel senso più bello del termine). È un disco che ho trovato molto etereo e che lascia trapelare un forte legame con la natura, senza però un riferimento specifico. Trovi corretta questa mia impressione?
Certo, io mi sento folk al cento per cento. Ho la definizione: folk quanto Sufjan Stevens e i Fleet Foxes ma con un cuore italiano.
Anche in questo album si avverte una forte influenza derivante dalla tradizione italiana delle colonne sonore. È un universo musicale a cui sei molto legato, vero?
Legatissimo. A 22 anni mi sono fatto una notte di treno per andare ad incontrare Piero Piccioni (ad una serata concerto dove il maestro ritirava un premio alla carriera). Che dire, è nel mio DNA musicale, è una materia che conosco benissimo perché sono cresciuto con le musiche dei grandi maestri delle colonne sonore: Piero Piccioni, Piero Umiliani, Nino Rota, Alessandro Cicognini, Armando Trovajoli, Bruno Nicolai, Ennio Morricone sono parte di me. E poi ho tutti i numeri delle compilation Easy Tempo custodite gelosamente.
Parlando proprio di colonne sonore, si è rinnovata la collaborazione con Michael Andrews (autore – tra le altre – della colonna sonora di Donnie Darko).
Sì, un grande sogno che si è realizzato. Ti posso assicurare che ascoltare per la prima volta i suoi arrangiamenti sulle mie canzoni è sempre un’emozione indescrivibile.
Se dovessi scegliere attori e attrici del passato o del presente per interpretare un tuo videoclip, a chi penseresti? E quali canzoni abbineresti, in caso?
Liv Ullmann – All These Snowy Days In Fårö I:
il suo sguardo profondo è Ingmar Bergman, regista che amo immensamente e una delle più importanti influenze per il disco.
Natalie Wood – My Last Tears Will Be A Blue Melody:
la adoro, il suo viso mi dona gioia e speranza ed è un’attrice meravigliosa, ho Splendor in the grass tatuato nell’anima.
Come è nata e come si è svolta la collaborazione con Laetitia Sadier degli Stereolab?
Altra fortuna grandissima. La Elefant le mandò un pacco di dischi della label con dentro anche il mio lavoro precedente In The Morning We’ll Meet. Ad un certo punto si sono accorti che Laetitia citava il disco nelle interviste. Nel mentre io avevo questa canzone nel cassetto (Anna, My Dear) non finita (non trovavo una voce che la potesse cantare). Ho scritto una mail alla Elefant chiedendo di contattarla per chiederle una collaborazione per la canzone, cosa che fecero avendo, per fortuna, una risposta affermativa. Da lì sono nate le altre fruttuose collaborazioni e una bellissima amicizia.
E invece com’è andata con la tua conterranea Matilde Davoli?
Conosco Matilde dai tempi dei bravissimi Studio Davoli, ho collaborato (quasi) sempre con lei fin dal mio primo disco, ogni cosa che fa è ben fatta perché è una musicista completa e un ingegnere del suono fantastico.
Cosa ne pensi del suo ultimo disco?
Tutto il bene possibile: adoro la sua scrittura e amo la sua voce, di sicuro la mia “voce italiana preferita” della nostra generazione.
Hai collaborato anche con Populous sul suo brano Brasilia.
Lo ringrazio perché con quella collaborazione ho pagato un esplicito tributo a Panda Bear, fatto con il cuore.
Quali sono i tuoi primissimi ricordi legati alla musica, da ascoltatore prima e da musicista poi?
Gioco di flashback che hanno segnato la mia esistenza: i 45 giri di Gioca Jouer e Der Kommissar di Falco posseduti dai miei fratelli, ascoltare a dieci anni da solo nella stanza di mio cugino provando un piacere enorme DallAmeriCaruso, la scoperta dei Madness e dei Clash a dodici anni (grazie sempre ai miei fratelli maggiori), qualche anno dopo il punk rock californiano con annesso concerto dei NOFX e Lagwagon al Circolo Degli Artisti di Roma e il mio primo gruppo come batterista a diciassette anni, entrare in un negozio di dischi di Firenze alla gita di quinto liceo e ascoltare in filodiffusione Cybele’s Reverie degli Stereolab e innamorarmene perdutamente, scoprire Nick Drake a ventun anni grazie ad una copertina del Mucchio Selvaggio, la prima canzone scritta con la chitarra per una ragazza e il primo concerto italiano dei Kings of Convenience al Brancaleone (a Roma, ndr).
Qualche tempo fa ho visto su Facebook una foto che ritraeva un negozio di dischi – credo in Giappone – con un’intera parete costellata dal vinile della tua ultima fatica. Immagino ti abbia emozionato. Che rapporto hai con il Sol Levante?
Un rapporto bellissimo, quello che ho sempre cercato vanamente in Italia. Quella foto ritraeva il negozio di dischi a Shibuya della mia label giapponese Production Dessinée. Spero d’andarci prima o poi, sarebbe un sogno.
Anni fa il Guardian si accorse e parlò di te. Sinceramente, ti sei mai chiesto perché in Italia non hai ancora ottenuto altrettanta attenzione?
Non lo so, ovvio che mi dispiaccia ma si vive comunque…
Domanda da pugliese a pugliese: come sta la nostra terra? Al di là di certo hype che ci ha toccato negli ultimi anni, ritieni ci siano spazi per una vera affermazione dei talenti e delle qualità della nostra regione? Penso agli stessi Sudestudio dove hai realizzato il disco in questi anni.
Da qui è tutto più difficile, sono consapevole di essere nato nel posto meno consono alla musica che scrivo, le persone mi ripetono sempre lo stesso imperativo: vattene. Dopo quattro anni da co-organizzatore del (piccolo ma bellissimo) festival Contronatura, quattro dischi e tre 7” realizzati come musicista, tante speranze riposte, sono tentato a seguire il consiglio. Di contro aggiungo anche che sarebbe sbagliato riportare tutto ad un piano personale e far finta di non accorgersi che qualcosa si sta muovendo e che stanno succedendo delle cose belle alla musica prodotta in Puglia (Matilde, Michele Mininni, Populous, Jolly Mare, Congorock, Barbados, Flowers or Razorwire, Ed Widge i primi nomi che mi vengono in mente), e poi le nuove generazioni (come i Floating Heads, gli Inude, Homelette), ci sono realtà impensabili fino a pochi anni fa e ormai consolidate come appunto il Sudestudio con tutto il corollario estivo di festival a esso legati, lo storico Time Zones o quella meraviglia assoluta del Locus Festival a Locorotondo, che fanno ben sperare in un cambio di direzione per la nostra regione.