Lo dicono spesso gli psicanalisti. Il periodo più delicato della vita di un uomo non è la tanto dibattuta adolescenza bensì quella fetta di esistenza che va dai 25 ai 30 anni, ovvero la giovinezza precedente al periodo adulto. È un’età cruciale poiché zeppa di scelte enormi, di prime pesantissime responsabilità, d’insidie e di ansie, capace di determinare a mo’ di solco profondo quello che andremo a essere nei primi anni della nostra adultità. Altro che adolescenza, i tormenti iniziano lì, in quel punto di non ritorno.
Ci piace pensare che anche per i The xx un po’ di tribolazioni siano iniziate nel periodo dopo Coexist, album datato 2012, quando i membri della band avevano all’incirca 23-24 anni. Sodali da una vita, compagni di liceo, amici intimi, Oliver, Romy e Jamie avevano chiuso quell’album con un brano, Our Song, che suonava come una promessa nuziale. Dal 2014, a tour finito, le strade si dividono: Jamie impegnato su quello che sarebbe poi diventato In Colours; Romy a Los Angeles, Oliver a Londra. Eccole le prime piccole prove (e l’ultimo brano del nuovo lavoro, I See You, s’intitola proprio Test Me) a cui si sono sottoposti i nostri: la lontananza e tutte le sue grigie conseguenze; la mancanza di un solido appiglio e di una calda parola; un bivio personale che si riverbera, inevitabilmente, sul versante musicale. In mezzo amori e relazioni, cedimenti, sofferenze e titubanze, incertezze ed errori che questa giovane età porta con sé: una lunga serie di episodi che forgiano la nostra tempra, modellano il nostro perimetro e infine ci piegano per vedere, proprio come recita Test Me, se ci spezziamo.
In generale il disco appare arioso, felice seppur doloroso, oseremmo dire quasi ballabile.
È la più matura delle variazioni sul tema xx, che con loro marchio di fabbrica fatto di beat elettronici, sample e arrangiamenti minimali, sono diventati una band culto fin dal primo pezzo. Se però l’omonimo debut album appariva da subito come una novità, e con Coexist hanno definito un suono che è innegabilmente loro, I See You è una presa di coscienza che non può esistere senza evoluzione, vulnerabilità messa a nudo.
Le ispirazioni che tracciano le linee guida del disco sono in realtà molto più varie di quello che si potrebbe pensare ad un ascolto distratto. A Violent Noise ammicca alla trance degli Underworld. E chi non ha sentito anche solo per mezzo secondo la voce di Freddie Mercury nell’incipit di Lips, pronta a trasformarsi con un giro di percussioni in una danza tribale che sa di notti scurissime? (Per la cronaca, il pezzo si apre con un sample preso da Youth di Sorrentino).
Il trio inglese ha dichiaratamente allargato i confini – le registrazioni sono avvenute tra New York City, Reykjavík, Marfa, Los Angeles, Londra -, sono usciti dal guscio e si stanno timidamente affacciando alla vita vera.
Il minimalismo del passato ha lasciato il posto a un flusso di coscienza messo in musica con fiati e campioni anni ’80, i modi sommessi sono stati stemperati dall’attitudine dancefloor e “barocca” di Jamie.
Ma c’è anche spazio per la confessione e l’auto-assoluzione. In Replica, Oliver racconta i suoi problemi con qualche vodka di troppo e ci parla della notte come della madre di tutti i suoi vizi. Brave For You è dedicata ai genitori scomparsi di Romy, regalndoci un testo da pianti fiume.
L’assaggio di giovinezza e del suo primo trascolorare di cui trasuda I See You è raccontato con amarezza da un poeta inglese, Philip Larkin, nella sua composizione “On Being Twenty-Six”. Larkin richiama quella sensazione di oscillazione e di passaggio dall’essere giovanissimi e pieni di forza ad un rallentamento, la percezione che il fuoco stia progressivamente spegnendosi. Per quanto opprimente, quest’immagine è la presa di coscienza tipica della maturità, il primo grande scontro con quel senso di immortalità che sentiamo in petto durante l’adolescenza.
È anche da questo che nasce l’ultimo disco della band inglese. La maturazione nei suoni si scontra con la volontà di mantenere inalterate le emozioni. Le emozioni, appunto, che in fondo sono tutto ciò che abbiamo – come dice il film Youth. I See You gronda desiderio, contatto umano, disincanto e amore. Ma è una voglia di tenerezza inedita a fare capolino – proprio nel mezzo del cammin di nostra giovinezza.
di Valentina Ziliani e Irene Papa