Venerdì scorso, nella sua casetta sospesa sul mare, se n’è andato Derek Walcott… e anch’io non mi sento molto bene. Ricordo che, una volta, mentre ascoltavo un dub rarefatto di King Tubby, lui mi disse che “le cose che non esplodono: vengon meno, sbiadiscono” e che “anche il fulmineo lampo dell’amore non ha un epilogo tonante, muore invece con un suono di fiori che sbiadiscono come fa la carne”. Mentre ricucio a punto croce le sue parole sto ascoltando, per l’ennesima volta ‘Think Beautiful”, una canzone per la quale sto sviluppando una preoccupante forma di dipendenza. È una delle quattro perle incastonate da Linda Feki aka LNDFK nel suo primo ep “Lust Blue”, uscito lo scorso novembre per Feelin’ Music, piccola etichetta svizzera diventata di culto nel circolo di quelli che, come me, pensano che l’hip hop abbia ancora molte chiavi futuribili d’interpretazione. Non è un caso, di certo, che il mio dio/cantore/meticcio mi sia tornato in mente proprio durante quell’ascolto. LNDFK è, infatti, una cantante e songwriter, classe 1990, nata a Sousse, in Tunisia, residente a Parigi ma cresciuta a Napoli. È figlia di due diverse culture: quella partenopea da parte di madre e quella del Sahara da parte di padre. Immagino sublimi il distacco dal padre e dalla sua terra d’origine nella sua musica che profuma di radici senza mai essere didascalica, perché ha metabolizzato l’influenza del jazz, del neo-soul e dell’hip-hop, filtrandolo attraverso un bagaglio di esperienze e una sensibilità del tutto personali. E ama molto la poesia. Nelle quattro tracce che compongono il suo esordio, le liriche si posano, morbide e delicate, sui beat di DaryoBass (musicista, pianista jazz e beatmaker), impreziositi dal sampling organico (dal ghiaccio in un bicchiere di vetro ad una scatola di scarpe) combinato con sintetizzatori e tastiere al fine di costruire un sound sospeso tra elettronica ed acustica. Ecco perché quelle tracce somigliano a degli haiku. Ed ecco perché quando le chiedo una playlist per introdurre il live full-band che terrà venerdì 31 marzo da Buh, Firenze, per la rassegna Rooty, mi ritrovo in mail cinque canzoni che mi fanno commuovere in cinque modi diversi, due poesie sue e tre di autori che amiamo entrambi ad accompagnarle. Per non farle sentire sole. I fiori di Linda sono appena sbocciati e hanno i colori vividi e il profumo della gioventù.
Kendrick Lamar – For Free
Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte da pazzia, affamate, isteriche, nude,
strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di una pera di furia, hipsters capodangelo bramare l’antico spaccio paradisiaco che connette alla dinamo stellare nel macchinismo della notte, che povertà e stracci e occhiaie fonde e strafatti stava lì a fumare nel soprannaturale buio di case con acqua fredda librati su tetti di città contemplando jazz, […] che si purgatoriavano il torace notte dopo notte con sogni, con droghe, con incubi a occhi aperti, alcol e cazzo e balle-sballi senza fine
Allen Ginsberg, “Urlo”
Pino Daniele – Sotto ‘o Sole (versione alternativa)
Va sempre dritto e veloce per le strade del sud, senza rimorsi, scusa ma lo senti sto caldo? Che caldo! Gli occhi al cielo in cerca dei santi, all’ombra del vicolo trovi riparo fra il vento dei panni stesi, le strade bruciano i piedi scalzi del bambino che, ad ogni piazza una chiesa, ti implora con la mano tesa: resta ancora qui, ti prego, non andare!
LNDFK
Terrace Martin – For Ever With You
Il nostro “noi”, se con me lo analizzi, per questa vera vera che ci lega, rigonfia come un “o” (che al centro, è un cerchio), ci dice inseparabili e confusi: (dal cuore della lavabiancheria, non è un caso, dopo un provocatorio ritiro, di corsa ti è risorta, molto tua, molto tonda): e l’ “n” mi sei tu, evidentemente, ancorché stilizzata (e consonante), come una tana accogliente: (come semplificata, tutta una cava cava): rimane solo, in fondo, questo “i” minuto, ancora, già in te intruso, protruso, con il suo punto in testa, craniomorfo, quasi in segno di festa: (appena mi allontano, dice un “no” netto, e disperato, il “noi”): (e a specchio, poi, in te riflette l’ “io”, che tu sostieni): (a stento accetto, tanto ci è perfetto, il “noi in o”, nostro anagramma e dramma):
Edoardo Sanugineti, “Noi”
James Tillman – Love Within
Un arcobaleno entra versandosi nella mia finestra. Sono elettrizzato. Canzoni esplodono dal mio petto, tutte le mie lacrime cessano, il mistero inonda l’aria. Cerco le mie scarpe sotto al letto. […]
I miei sogni mi sollevavano dal mio letto. Sognavo di saltare nel vortice di una pistola per lottare con una pallottola. Il mio corpo si è trasformato in zucchero, versato nel tè ho trovato il senso della mia vita. […] Cammino per le strade cercando oggi gente che mi accarezzi. Ho cantato sugli ascensori credendo di raggiungere il paradiso.
[…] Guardo fuori dalla finestra e non vedo nessuno. Vado in strada, guardo verso la mia finestra e non vedo nessuno. Così parlo all’idrante, e gli chiedo “Hai delle lacrime più grandi delle mie?” Non c’è nessuno in giro, piscio ovunque. Mie trombe di Gabriele, mie trombe di Gabriele: spiegate i canti di gioia, il mio giubilo immenso.
Peter Orlovsky, “Vertigo”.
Bilal Salaam – Blah
Mattoncini su mattoncini, le case basse con gli alberi verdissimi fuori i brownstones di gelato, cookies attaccati con le spillette al cielo di carta, asfalto morbido rende tutto più semplice: la conduzione corporea, grounding, hanno inventato le palestre di rimbalzo, shuffle, terzine, spinto dall’energia delle vibrazioni di Brooklyn col sole di mattina proprio dietro l’angolo a ricordarmi di essere felice.
LNDFK
di Andrea Mi