Capita a tutti, e ad alcuni un po’ più spesso. Passa qualcuno -una coppia, un bambino con la sorella, un signore indispettito dalle nuvole- e per caso lo ascolti.
Magari immagini il seguito della loro conversazione, magari simulandolo con il tuo interlocutore. Abbozzi ipotesi, senza un preciso obiettivo -se non l’entusiasmo dell’indefinito.
I suoni dei Mount Kimbie -così come i testi, recitati da loro o da fedeli, imprevedibili colleghi- svelano una concezione della vita individuale come produzione interminabile di una storia originalissima: un dovere, seppur naturale. Anche se servisse tempo, anche se servisse spazio. Anche se tra un album e il successivo dovessero scorrere quattro anni di esplorazione.
Si tratta di visualizzare che cosa potrebbe stupire loro stessi, e realizzarlo in un compromesso di estetica e ritmo. Quando deve entrare il basso per risultare gratificante, ma non banale? È proprio qui che la progressione dovrebbe cambiare passo? Disegnare una specifica narrativa sonora è un’impresa provante.
Allo stesso modo, non è semplice trovare la propria, personale storia; a dirla tutta, consiste in un processo senza fine.
A livello cronologico, i due album pubblicati sinora da Dom e Kai sono tranquillamente invertibili. Ciò è possibile perché il duo britannico -come algoritmi web di nuova generazione- non sono alla ricerca di un modello predeterminato. Lo scopo dei Mount Kimbie è l’irripetibilità: un susseguirsi di micro-teorie costantemente rivedibili, ovvero ipotesi senza verifiche.
Un esempio è il titolo del loro album più recente, Cold Spring Fault Less Youth: tentativi segretamente connessi, e ancora una volta non sta a noi comprendere del tutto i legami. Forse, semplicemente, non spetta a nessuno.
Partiamo però dal principio. Nel 2009, 14 minuti di puri esperimenti elettronici formavano Sketch On Glass: scarabocchi, appunto, ancora più temporanei se impressi sul vetro. Altri 20 minuti costituivano, neanche a dirlo, Maybes: pacifici dubbi, bellissime supposizioni.
Poi arrivò Crooks & Lovers. Album di debutto spaventosamente maturo, proprio per le continue risate in faccia alle regole.
I samples ipertagliati rendevano il viaggio sempre nuovo; le batterie pescavano da ogni genere. Il risultato -nel delizioso contesto definito al tempo post-dubstep- somigliava ad una compilation di Various Artists, di quelle ben orchestrate. Before I Move Off e Adriatic vacillavano su corde scomodissime, Carbonated era a qualche bpm da un capolavoro techno, Would Know trasformava i passanti in un pazzo coro. Siano benedette le barriere violate, e lunga vita ai recinti aperti.
Anche i collaboratori da loro scelti rispettano rigorosamente la legge delle ipotesi: da James Blake -ex membro- a Mica Levi, passando per King Krule e Jonwayne. Discorso analogo per i videomaker, che includono Tyrone Lebon (che anni dopo Would Know andrà a plasmare, tra le altre imprese, Nikes di Frank Ocean) e il fratello Frank Lebon, anima sperimentale se ce n’è una. I due video da lui firmati nel 2017 sprigionano la sua fitta rete di ispirazioni, in una sovrapposizione di tecniche degna di una classe di bambini prodigio. In We Go Home Together, un cerchio aperto con la voce di James Blake, alcune parole sono scritte a mano in un fotogramma del videoclip: It’s the best it could have been, un inno alla semplicità soggettiva.
La componente visiva di Marilyn agisce da inno alle sovrapposizioni. Scene di antica intimità girate dal padre di Frank e Tyrone Lebon vengono scavalcate da forme e sequenze talmente opposte da divenire meravigliose.
Il terzo video del disco, la progressione Blue Train Lines con ospite King Krule, è un misterioso e frenetico archivio; un ragionamento antropologico, attimi ritmati che d’un tratto acquisiscono senso.
Accade che qualcuno, infinitamente atteso, suoni il campanello di casa: un rumore oggettivamente cacofonico diventa improvvisamente una sinfonia terapeutica. Amiamo ciò che sopravvive, anche solo per un istante.
Il nuovo album dei Mount Kimbie si chiamerà Love What Survives.
Con calma e paziente fiducia, hanno diluito all’essenziale qualche altro anno di intensi esperimenti. Sarà bellissimo, ancora una volta, faticare a catalogare tutto ciò.