Agosto. Che solitudine rincuorante, il sole non mi lascia mai. Non ho bisogno di null’altro, credo.
Credo.
Daniel Caesar sta affrontando un viaggio. Non so se abbia con sè uno specchio, ma suppongo di sì.
L’anno scorso il tragitto pareva spaventoso, la copertina gridava alla caduta libera.
Nel 2017 il pellegrinaggio si è fatto più concreto, la strada è in salita ma si vede la meta –“transform, transform, transform”.
Il titolo dell’album -LP d’esordio- è Freudian, ad indicare la priorità dell’introspezione nella ricerca dei rapporti causa-effetto. I rapporti umani -con l’amore in primo piano, messo a fuoco e caldo di conseguenza- sono un altro codice per analizzare le proprie pulsioni.
Spesso è nudo, solo nella stanza con un pianoforte antico e ben accordato: la semplicità del disco è spiazzante, come se l’obiettivo fosse isolare la propria anima per squadrarla meglio.
Cresciuto in un contesto iper-religioso, il canadese si è allontanato dalla famiglia per sfogare la miglior forma di egoismo possibile. Dalla cattedrale affollata, si è rifugiato in una chiesa personale e piccola in cui si prega davvero. Con una candida fede nella vulnerabilità, sembra leggere dei salmi macchiati di realtà.
Il dubbio della gratitudine, la legittimità degli errori: in Freudian c’è tutta la fatica necessaria per amarsi, per amare il si riflessivo. La voce di Daniel Caesar è facile, ricorda Frank Ocean senza complicazioni. La voce di Daniel Caesar è rivolta a tutte le parti del cuore.
Una voce, invece -una personalità- che comunica solo con la faccia più cupa del cuore è quella di XXXTENTACION.
Diciannovenne, personaggio eticamente discutibile, non ci lascia scelta più saggia che discutere soltanto della sua arte. Ha già mostrato più lati del suo talento, almeno due come i colori del suo taglio. È esploso con la hit noise-rap Look At Me! e di lì in poi tutti l’hanno guardato.
In qualche singolo e qualche feature ha poi svelato un’inedita tendenza old-school, con un flow morbido e controllato.
In 17, un disco “per i depressi, per le anime perdute”, il ragazzo della Florida con origini dominicane dà prova di un sensazionale orecchio per le armonie malinconiche, passando da un rap triste ma rilassato a ritornelli emo degni dell’era dei Deftones.
Che cosa lo rattrista così tanto? Urge, ahimè, parlare anche del personaggio.
Jocelyn Flores, titolo di una delle migliori e più strazianti tracce del disco, è il nome di una ragazza che, invitata a fare da modella per XXX, si è suicidata in sua presenza. Parte dell’album è dedicata a lei e alla sua condizione, ma il resto riguarda lui: 17, infatti, è l’età a cui, qualche anno fa, XXXTENTACION dichiarava di voler morire.
È triste perché è giovane: significa avere accesso ad un universo di contenuti talmente ampio da risultare nullo, proprio come un buco nero. Significa che tutto è immediatamente noioso e credibile, senza bisogno di conferme.
Non serve risalire alla fonte, ed è ciò che traspare da un fattore cruciale di 17: i campioni vocali di Shiloh Dynasty, artista di cui si sa poco o nulla, comparsa brevemente solo su Vine e Instagram con chitarra e corde vocali. Per una volta la fonte non sarebbe ad un click di distanza, bensì pressoché impossibile. Il mistero fa capolino ed è rincuorante, la meraviglia sembra reale, addio alla virtualità per un momento. La tristezza diviene splendida perché mutevole, e con un’appropriata lente di ingrandimento, nel disco si può scorgere una via d’uscita –“no choice but to carry on”.
Sicuramente, il modo migliore per diffondere la consapevolezza riguardo il delicato tema “depressione” non è inscenare la propria impiccagione su Snapchat senza spiegazioni, ma se mettiamo da parte la mentalità a tratti distorta e violenta dell’individuo possiamo forse trattarlo come Shiloh: null’altro che un misterioso detentore di bellezza, in un ambiente sovraccarico di vuoti.
Se dieci anni fa la generazione nascente si rispecchiava nel tragicomico di gruppi come Panic At The Disco! e My Chemical Romance, oggi i late-teens ritrovano la propria noia negli sguardi di rapper come XXXTENTACION e Lil Uzi Vert.
Alternano in maniera nevrotica un’estasi travolgente ad una totale apatia, ed è proprio lo sbalzo d’umore a stupire ed attrarre.
In Luv Is Rage 2, album di debutto di Uzi e seguito dei suoi acclamati mixtape, il filadelfiano decide di rinunciare ai ritornelli facili in onore di una sperimentazione senza fine –For Real per maggiori informazioni. Al primo ascolto, poca parte dell’LP galleggia nelle nostre menti. Sceglie di annoiarci per fare in modo che ci ripensiamo; ci spinge a scrutarle, le regolarità. Ci porge il prodotto senza indicazioni, lasciando che i giorni convertano la frustrazione in amore, e viceversa e viceversa ancora.
La copertina del disco -così come il video di XO Tour Llif3– è stata curata da Virgil Abloh, designer responsabile del marchio Off-White e candidato principale alla prossima direzione creativa di Versace. Abloh ha definito Lil Uzi Vert “ciò che ogni generazione spera di avere”: per questa generazione, Vert era inevitabile.
Più parole in una riga di quante ce ne stiano davvero, più influenze di quante se ne possano distinguere. Accessori, accessori, accessori.
Marilyn Manson equivale improvvisamente a Young Thug, per un attimo i Paramore sono i Bone Thugs-N-Harmony; perdiamo il conto dei colori nella sua capigliatura, talmente numerosi che è tutto nero. Nella confusione realizziamo che, in tutto questo tempo, il ventitreenne ha fatto soltanto quello che riteneva giusto per se stesso.
Stava parlando di sé sin dall’inizio, e poco male se non l’abbiamo capito. Abbiamo studiato le sue melodie e rintracciato mille sensi che nemmeno intendeva, mentre lui giocava ai videogame per staccare da una maratona di anime. Tutto ciò fa parte del suo implicito, segreto amore per la libertà personale: quella che gli permette di gridare così forte.
Come dice lui stesso in XO Tour Llif3 -pezzo dell’anno, secondo moltissimi -a Lil Uzi Vert non interessa se piangiamo. Ribadisce il concetto nella prima traccia e in tutte le altre. Proprio in Two dichiara disinteressato “Yeah, the famous life, it’ll eat you up alive / It’s a game and I put my feelings to the side”. Non ha intenzione di riprenderli in mano presto, quei sentimenti. Si tratta di un egocentrismo fruttuoso, svincolato da qualsivoglia senso di colpa. Perché smettere?
Ad agosto, il sole è tanto. Tanto presente, tanto alto da tanto tempo. Perdo il desiderio di confidarmi con chi mi conosce davvero, o meglio ne sottovaluto l’esigenza. Parlo con il sole; “è sempre qui, mi ascolterà”, penso.
Mai, mai una volta che mi abbia risposto.