10/02/11, a Palermo stranamente c’è freddo anche alle 16,00 del pomeriggio; e sarebbe pure sconsigliato, in certi casi, uscire in motorino. Anche Vasco Brondi aka Le luci della centrale elettrica, con la sua orchestra distorta (Rodrigo D’Erasmo – violino elettrico, Enrico Gabrielli – batteria e cori, Lorenzo Corti – chitarre elettriche), in questa giornata, si trova in questo sud.
L’ingresso dell’ Auditorium Teatro Dante di Palermo è pieno di persone che acquistano magliette, poster, adesivi. Entriamo, regoliamo la reflex, facciamo un paio di scatti a vuoto e attendiamo. La gente arriva. Il Dante è strapieno – dalla prima fila sembra esageratamente pieno. Tutto si fa buio. Un suono metropolitano emerge dal nulla, pianissimo, aumenta, le luci della centrale elettrica iniziano il loro “viaggio” a Palermo.
Il palco è elettrico, la scenografia è abbagliante. E non ricorderemo mai le canzoni di apertura e di chiusura perché siamo stati sorpresi da quel “polo elettrico”. In qualche modo tutto ha inizio. Cara Catastrofe è certamente un pugno allo stomaco, un amore estremo. Le chitarre suonano più che mai, poco calme. Vasco urla il suo amore e la sua vita. Le Ragazze Kamikaze è la più intima, è un pianto. È il violino che la rende una canzone d’amore. Si viaggia a ritmo serrato: non è un concerto è una dimensione parallela e soprattutto è un live che non ha nulla a che vedere col disco. Tocca a L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici. E le pause, i saluti, i ringraziamenti e qualche annotazione sul fatto che a volte i periodi bui non sono poi così male. Ripartono le chitarre. Il violino si interseca alla batteria. È un continuo alternarsi di canzoni nuove e canzoni più vecchie adattate alle “nuove necessità”, ai nuovi strumenti, a certi momenti.
Una Guerra Fredda e La Lotta Armata Al Bar. Ogni pezzo è come una pagina di giornale che non viene letto, ogni urlo è un abbraccio, una consolazione, una concretezza che vede questo paese per quello che è e non secondo i canoni del silicone e della pornocrazia. Fino a quando tutto si stacca come dopo un cortocircuito. Il palco rimane vuoto e le luci della scenografia si spengono.
Ecco rientrare l’orchestra distorta; tutto ricomincia. È il momento di Stagnola, di Piromani. È il momento di cantare insieme sul palco. Vasco lascia il microfono, prende la sua chitarra e si avvicina verso la platea. Non servono più i microfoni, le distorsioni, i cori e gli amplificatori. Ora ci siamo solo noi e cantiamo, ci facciamo due risate sulle strofe dimenticate, sulle pause lunghe, anzi lunghissime, sulle canzoni che ascoltiamo come una fissazione e che cantiamo anche mentre dormiamo (vestiti).
Ora è finito tutto sul serio. Vasco augura le buone notti a tutti e se ne va.
La serata prosegue al Vinile, tutti insieme, per scordarci della tragicità di certi anni, tra un brindisi, un abbraccio ed un arrivederci.
Per chi ama e per chi odia. Per chi sa ascoltare e per chi preferisce dormire. Per chi festeggia e per chi lotta. Per chi sa emanciparsi e per chi si sposa. Per chi legge e per chi non lo fa perché in tv passano il Grande Fratello o che so io. Per ora noi la chiameremo felicità, perché la disperazione è una forma superiore di critica.