Anni ’10 del ventunesimo secolo. Quell’Italia, che rimpiange i tempi delle avanguardie in cui poteva vantare di essere se stessa in una contemporaneità proiettata ai futurismi, ostenta con affanno una voglia di rivalsa nei confronti di quel panorama che ancora sente di poter dominare. Oggi sceglie di tornare alla ribalta al fianco delle nuove potenze culturali promuovendo a larga scala le attività del neonato MAXXI, il museo delle arti del ventunesimo secolo, appunto.
Il nuovo orgoglio dell’intellettualismo italiano si autodefinisce dinamico e innovatore, fluido contenitore di sperimentazioni, impegnato a tutto tondo nelle arti visive e, per la prima volta in Italia, nell’architettura. Un concentrato di iperattività tutto rivolto ai giovani talenti, ai primi germogli di futuro che il presente propone. Non si risparmia di presentare se stesso come l’erede naturale delle filosofie del celeberrimo MoMA di New York.
E proprio da questo legame legittimo nasce quella che, a quasi un anno di distanza dalla propria inaugurazione, rappresenta in realtà la prima e vera operazione del MAXXI rivolta alle generazioni degli anni ’10, dato che, facendo un primo resoconto delle attività promosse, pare che il nuovo fiore all’occhiello della cultura italiana effettivamente sia specchio della nostra tipica capacità di promuovere con furore e dimenticarci poi di agire, almeno questo è quello che mi suggerisce un calendario di eventi ed esposizioni che sceglie di ripiegare su generazioni dell’arte e dell’architettura italiana ormai estinte, anagraficamente perlomeno.
Insomma per evitare che questo possente mulino diventi l’ennesimo reliquiario dell’arte povera e dell’architettura razionalista, l’amministrazione sceglie di stringere la mano proprio al MoMA di NY ed’adottare una delle iniziative più vivaci che l’istituzione newyorkese porta avanti da ormai undici anni, YAP_Young Architects Program.
In contemporanea, due giurie rappresentate da esponenti delle due realtà museali hanno selezionato i progetti di giovani architetti, progettisti e designers, spingendosi fino ai neolaureati, che si sono trovati a dover comunicare con la fisicità dei contenitori progettando un allestimento temporaneo, che potesse ospitare eventi e accogliere la vita comunitaria, per i rispettivi cortili esterni delle due sedi.
Ad aggiudicarsi la competizione per il piazzale del MAXXI è il giovane studio romano stARTT (fondato nel 2008 da due architetti classe ‘78), che ha proposto un arcipelago immaginario composto da isole mobili, da disporre con configurazioni differenti a seconda delle necessità e degli usi. WHATAMI è il nome del progetto che invaderà da Giugno per tutti i mesi estivi il piazzale intitolato ad Alighiero Boetti, l’artista famoso per le sue mappe geografiche, alle quali un po’ l’arcipelago di stARTT strizza l’occhio. Questo paesaggio artificiale sarà inoltre costellato da fiori giganti in grado di fornire ombra durante il giorno e luce di sera, ma anche acqua e musica. L’allestimento prevede un doppio processo di riciclo: le colline saranno realizzate prevalentemente con materiali di riuso e, dopo lo smontaggio, saranno donate al quartiere per essere riutilizzate, insieme con gli elementi luminosi.
Per il cortile del MoMA PS1, vincitore è lo studio Interboro Partners che, con Holding Patterns, allestisce lo spazio come un punto d’aggregazione che funga da collante all’interno della comunità. Entrambi i progetti verrano inaugurati contemporaneamente a Giugno e saranno accessibili per i due mesi successivi.
Benvenuto nel ventunesimo secolo, MAXXI.