Ecco che arriva il racconto per la vostra domenica.
Questa è la prima parte:
Proprio tra il Coccodrillo Americano e l’Elefante Asiatico
Erano le undici del 17 Marzo, e quel giorno, per festeggiare l’unità d’Italia, la nostra maestra d’italiano, dolcemente ingobbita, aveva promesso a ventuno alunni che li avrebbe fatti dormire un po’ di più sui loro letti a castello. I raggi del sole avevano cominciato già da qualche minuto a solleticare i muri bianchi della mia camera, quando presi dal salvadanaio i cinque euro dell’onomastico e chiusi la porta, lasciandoli sorridere in privato.
Mentre i lacci delle scarpe ticchettavano sul parquet, arrivai all’attaccapani, scesi il k-way a righe e infilai il cappellino ocra con la visiera. Mi chinai a raccogliere la gabbietta che da un paio d’ore ospitava un canarino, e strinsi forte la maniglia con le dita.
Io e Caterina ci eravamo dati appuntamento al Bioparco per fare un pic-nic accanto alle testuggini – io le chiamavo ingenuamente tartarughe, ma lei, nei suoi boccoli nocciola, ne sapeva parecchio: diceva che sapevano riconoscere la mamma dallo zio, il rosso dal blu e che – se allontanate da un territorio che gli sta particolarmente a cuore – diceva, ammonendomi con la piccola mano destra – loro ci ritorneranno, e al più presto, senza curarsi affatto della loro pesante corazza. Era una cosa importante, concludeva, e io annuivo deciso – al centro del cortile e con le mani dietro la schiena.
Arrivato a Villa Borghese, passeggiai fino alla fermata del trenino e sporsi cautamente il capo oltre la linea di sicurezza delle coccinelle rosse, per cercarlo tra le file di pioppi.
Accompagnato da una musica astrusa, il breve convoglio sopraggiunse, con a bordo il mio capotreno di fiducia: quello con le vispe basette color miele.
“Scusi signore, si ferma al Bioparco?” – feci, piegando la testa un po’ a destra.
“Sì bimbo. Oggi ci fermiamo proprio tra il Coccodrillo Americano e l’Elefante Asiatico.” – rispose lesto, con le basette sempre amene sulle guance.
Appagato, sollevai da terra la gabbietta, che, nel frattempo, era stata circondata dalle coccinelle, ammaliate dai primi esistanti gorgheggi del canarino.
Salito a bordo della terza carrozza, poggiai l’uccellino giallo alla mia sinistra, e osservai il tragitto dalla finestra quadrata del vagone. Il trenino prese velocità a poco a poco, arrivando a filare liscio in Piazzale Marcello Mastroianni, dove un elegante bambino taciturno in occhiali da sole, faceva l’aperitivo con il papà, sgranocchiando le patatine e lasciando, per educazione, lo spritz all’altra metà del tavolino tondo. Li raggiunse una signora dalle movenze aggraziate, quasi a una cadenza musicale, portando sottobraccio, ben arrotolata, la locadina del Flauto Magico di Luzzati. Il bimbo la stese, mostrò tutti i suoi denti da latte, e offrì una Crik Crok alla mamma.
Fu in quel momento che accadde il fattaccio.