La piccola non-guida di Roma di Elena Stancanelli. Iniziare a essere meno turisti e diventare esploratori.
Di guide turistiche ce ne sono a bizzeffe, tanto che ogni volta che dobbiamo partire finiamo sempre in libreria con le espressioni affrettate dell’ultimo minuto nel tentativo disperato di scegliere la nostra preferita, la più adatta ai conti nelle nostre tasche e ai nostri desideri di turisti che stanno per sbarcare in luoghi fino a quel momento ignoti.
La guida più bella però, si sa, è quella di qualcuno che sia in grado di raccontantarti dove stai andando, cosa c’è stato lì e cosa c’è ora e soprattutto perchè, molto spesso, il prima e l’adesso non coincidono.
Basta allontanarsi un po’ dai classici del turismo e spostarsi nella sezione narrativa – talvolta proprio narrativa di viaggio – per scoprire che, qualora non avessimo un amico là dove stiamo per arrivare, ci sarà sempre un piccolo o grande scrittore che ci racconterà, molto meglio di qualsiasi Lonely Planet, dove siamo finiti.
La letteratura italiana, ad esempio, è piena di guide trasversali e non turistiche, veri propri racconti per iter concettuali che se ne fregano dell’esaustività nel parlare di ristoranti mercati e negozietti preferendo raccontarti i come e i perchè.
Elena Stancanelli nel 2007 ha pubblicato per Minimum fax una preziosa piccola non-guida di Roma: A immaginare una vita ce ne vuole un’altra. Si tratta di romanzo di meno di 200 pagine, densissimo di ironia e analisi socio-culturale, capace a tutti gli effetti di raccontarci una buona parte della Capitale oggi. Invitata a curare, insieme ad altri giovani autori, una rubrica sui quartieri di Roma per la pagina locale di Repubblica, la Stancanelli decide poi di ampliare la sua indagine fino a trasformarla in un libro.
In origine attrice di teatro, l’autrice racconta la città partendo dai versi – quelli del titolo – del poeta e attore Victor Cavallo che forse ricorderete in alcuni film tra cui “Il Grande Cocomero” ed “Estate romana”. Di poesia il libro è intriso fin nel profondo, poesia e filologia delle parole che descrivono “compagni e camerati” per raccontare, attraverso viaggi di quartiere in quartiere, Roma Rossa e Roma Nera, da Giusva Fioravanti ad Autonomia Operaia. Si raccontano i non-luoghi – dagli Outlet all’Ikea passando per gli orti botanici – o gli ipo-luoghi come l’enorme e straniante cimitero del Verano o ancora Axa e Portonaccio.
Un guida di Roma che non ti dice dove andare ma come andare, ti racconta Corviale e non via del Corso, ti spiega attraverso le parole di Cristina Campo e di Carmelo Bene, cos’è per un romano “l’immemoriale” e che cos’è, per chi è straniero e vive ai margini, la vita di ogni giorno alla stazione Tiburtina o a piazza Vittorio.
Elena Stancanelli non è romana ma sa, e ce lo dice, che nessuno ha raccontato Roma meglio di Federico Fellini e che i segreti della città stanno nascosti in un posto accessibile a chi la ama, non necessariamente a chi ci è nato. Ci sono Pasolini, un piccolo museo di oggetti presi ovunque, la vita in una casa popolare e quella in una zona residenziale, c’è tanta letteratura, le aspettative di chi a Roma ha cominciato a viverci già adulto e un mondo di riferimenti capaci di farvi da guida molto più di un elenco di vie e di chiese. C’è, in sostanza, una ennesima Roma diversa, nascosta, che aiuta la Stancanelli a condurre, tra descrizioni e momenti narrativi quasi comici, una spietata analisi di ciò che sono, oggi, le nostre vite occidentali mentre il caput mundi si modifica, come una cartina al tornasole, sotto i nostri occhi poco attenti.
Da leggere prima di partire se venite da fuori o nella vostra camera romana se nella capitale ci siete nati.
“Prima di trasferirmi a Roma, io ero sicura che Roma esistesse grazie a una frase: È quattro giorni che ti amo.
Vorrei non dover dire di che si tratta. Per chi ha avuto un’adolescenza simile alla mia, è come dire I have a dream o Hasta la victoria. Forse un po’ meno ma abbastanza da vedere gli occhi, alcuni occhi, luccicare.
È “Pezzi di vetro”, di Francesco De Gregori. Canzone struggente contenuta in un disco struggente: Rimmel. Dove si racconta di una donna e di un uomo. L’uomo, che ha due anime e un sesso, e una luna e dei fuochi alle spalle… È uno zingaro bello e magico e non si taglia pur camminando sui pezzi di vetro e allora tu ti potresti innamorare di lui, forse sei già innamorata di lui quando ti dice quella frase: “è quattro giorni che ti amo, ti prego non andare via”.
Quattro ggiorni. Con due, anche tre g. Quel raddoppio, che stava all’opposto del mio strascicamento fiorentino, era per me la testimonianza inoppugnabile dell’esistenza di Roma.”