I sei racconti del genio americano David Foster Wallace, scritti tra il 1984 e il 2005.
David Foster Wallace è un caso limite della letteratura, uno che ha un altro essere dentro, un “omuncolo” che ha nidificato e si è radicato negli anni dentro di lui vivendo di vita propria seppure inseparata dalla pelle, dalle pareti fisiche e dalle cellule di colui che lo contiene. L’omuncolo è la scrittura, laddove essa non è più, come più comunemente accade, cernita del pensiero, della vita quotidiana, della vita pensata e della vita tutta, bensì forma naturale e prima di questa vita, automatico modo di esistere, di un esistere già scrivendo, nel portare su carta o su documento informatico che sia, il flusso cosciente di tutte le cose, siano queste cose l’atto di comprare un libro o l’innamoramento.
Farlo come viverlo, insomma, arte dello snaturare l’antico “si vive o si scrive” perchè qua l’aderenza delle due cose è estrema e totale, quasi fisicamente inspiegabile, tempisticamente incomprensibile. DF Wallace dopo Joyce: flussi di coscienza alcuni decenni dopo, razionalizzati, perfezionati, ordinati, logicizzati di una logica spiazzante, sconvolgente, disperata, che non lascia speranza di salvezza alcuna perchè, proprio come impone il gergo, schiacciante.
L’amore razionalizzato nel suo non essere mai ragionevole, nel suo radicarsi e irradiarsi e procurare solo estremi istinti di follia, eppure così perfettamente reso nella sua istintiva e devastante armonia emotiva, nel suo dibattersi, nella sua lotta, perchè, pensiamoci, non è proprio da questa estrema razionalizzazione e presa di coscienza istante dopo istante, nella lotta, delle devastanti sensazioni e dei non guaribili processi dell’amore che noi ce ne ammaliamo? non è nella consapevolezza estrema, nel tempo dedicato ad apprenderlo e capirlo, che d’amore ci consumiamo?
C’è qualcosa di estremamente antico e stilnovista nel ragionar d’amore che domina in questo libro di Wallace e c’è anche qualcosa di fortemente leopardiano, direi proprio quell’autocoscienza emotiva dell’istante amoroso.
E così, autocosciente, è tutto il resto, così la morte e la semplice nascita di un’alba nuova, così una malattia e la depressione soprattutto, tunnel buio e terremotato tra il decesso del cuore e del cervello e quello del corpo.
Leggere Wallace è anche e soprattutto affondare le mani nella melma che siamo, nei processi quotidianamente indistinguibili e trascurati di questo esserci, affondarle in ciò che di noi ignoriamo e spesso preferiamo ignorare e tentare di capire, voler capire, voler focalizzare, perchè questo scriverevivere è tentativo disperato di fare chiarezza, di snodare il cappio. Il rischio di lanciarsi nel fondo è la vita stessa ma il risultato è la chiarezza e con essa il capolavoro.
Non perdetevi l’occasione di avvicinarvi a uno scrittore di questo tenore, Questa è l’acqua è una summa perfetta del suo modo di raccontare, perchè, dunque, non iniziare da qui?