Letti singolarmente possono anche passare, ma tutti e tre insieme sembrano formare uno scioglilingua.
Andrea Maglia, chitarra e voce, Simon Pietro Scaccabarozzi, chitarra, e Claudio Palo (già nei Milaus), batteria, sono invece i nomi dei tre componenti dei Manetti!, al loro secondo album, nuovamente omonimo, dopo il primo uscito nel 2007 per la Subcasotto.
Questa volta a produrli e distribuirli ci ha pensato una delle etichette indipendenti più interessanti, la Sangue Disken, che ha già all’attivo la produzione de ”L’esercizio delle distanze” dei Minnie’s, quella di ”Aspetto” della storica band punk hard-core Altro, e ”Disco”, un’edizione limitata in 500 copie di remix degli Altro ad opera di gente che ne ha fatta poi di strada, come Cecile, Spiller e Gentleman.
Il primo singolo estratto dall’album è ”You and I and the screeming trees”, presentato lo scorso 21 maggio all’interno del festival Morborock di Morbegno, e i primi a scrivere due righe a riguardo sono stati quelli di Rolling Stone. Un motivo ci sarà. Ad ascoltarlo vengono in mente certe atmosfere malinconiche di fine estate, quelle che ti mettono un po’ d’angoscia addosso all’idea che la calda evasione sia finita, mentre gli orizzonti di libertà a lungo agognati sembrano restringersi di nuovo, come un ventaglio che si chiude lentamente. Emerge una forte sensazione di oppressione, il desiderio di fuggire da qualcosa che ormai ci sta stretti, di guardare oltre per cercare in altri lidi quello che in casa nostra non riusciamo più a trovare.
Le immagini che accompagnano il brano rimarcano questa sensazione, suggeriscono di scovare in quei cieli imbruniti la risposta alle tue domande, intanto che il traffico giù in autostrada scorre veloce ed appannato. Sono firmate da Luca Merli, fotografo e film maker milanese noto per numerosi commercial e per essere l’autore del video ”Torna Catalessi” di Caparezza e di quello di un pezzo storico dei Planet Funk, ”The switch”.
Gli altri pezzi in scaletta, otto canzoni e tre strumentali, fanno venire in mente i Mogwai, i the Smiths e i Cure, ma sono molto più spontanei, emozionali e distaccati al tempo stesso, mai lamentosi; alternano chitarre agitate e chitarre addolcite, in un rimando di pieni e vuoti, flussi e rigetti, rivelando tutto lo stile new wave rock venato di post rock del gruppo. Tra le note si legge una certa nostalgia per gli anni 90, per quel ”grunge is dead” che cantano verso la metà dell’album, ma anche per quelle atmosfere inglesi e dannate alla Irvine Welsh, evidenziate dal singolo di apertura ‘Trainspotting’, quello che vi conduce verso il resto dell’album. Chiare influenze indie pop condiscono il tutto e di questi tempi non guastano mai, nonostante le abbiamo quasi odiate per quanto abusate.
Personalmente, ascoltando tutte ed undici le canzoni è venuto in mente un viaggio in macchina, di quelli all’americana, auto decapottabile non troppo nuova e vento tra i capelli, e una radio che manda in sottofondo un certo suono dolceamaro, come nei migliori telefilm.
Un disco che farà strada, e giuro che la battuta non era voluta.