Ieri ho preso un aperitivo ideale sulla nuvoletta di Skype con Francesca Genti.
Lei è una poetessa, ma le andrebbe bene pure farsi chiamare poeta, dice che presto sarà a Roma a raccontarci una fiaba e se le chiedo un consiglio apre la sua mano e mi mostra una Gemma. Abbiamo pure parlato delle bugie di Gino Paoli, di mele, False Contesse e accennato a morosi cantastorie, come si dice lì al Nord.
Origliate un po’ e sfogliate un paio di sue poesie in questa rivistina di nome ‘tina. Sono piccine e potete infilarle nella tasca posteriore dei jeans per leggerli in fila al supermercato.
N: Ciao Francesca! presentiamoci: io mi chiamo Natalia, ti scrivo da Roma e di questi giorni passeggio lungo il Tevere. Tu da dove ci scrivi e a cosa da la tua finestra in questi primi di Luglio?
F: Io scrivo dal mio tavolo a Milano, via Venini, Nord Est della Città. Dalla mia finestra si vedono fiori di glicine e operai sulle impalcature.
N: E’ la prima volta che sento associare Milano ai fiori: Gino Paoli mentiva. Ho trovato poco sulla tua biografia in giro. Potresti aiutarci a fare un ritratto un po’ più nitido della tua vita con la biro? Occhio e croce hai pubblicato la tua prima raccolta di poesie a 26 anni, a un passo fuori dall’università. Cos’hai studiato? Hai scritto più tra una lezione e l’altra o in fredde torinesi sessioni d’esame?
F: Ho sempre scritto poesie. fino da quando era molto piccola, sei o sette anni, conservo ancora il quaderno con la copertina raffigurante un puffo con la cetra. Poi quando avevo vent’anni ho visto all’università che c’era un concorso di poesia, e in giuria c’erano Nanni Balestrini e Rossana Campo: mi piacevano molto entrambi, quindi ho scritto tre poesie e le ho mandate. Ho vinto e li ho conosciuti. Al ritorno ho fatto un grosso incidente in auto per l’emozione. da quel giorno ho scritto più o meno una poesia alla settimana, poi le mettevo in una busta e le mandavo a nanni e Rossana, così dopo un po’ si è formato il mio primo libro: Bimba Urbana (2001) che è stato pubblicato da Emilio Mazzoli, un gallerista con gli stupendi disegni di Nicola De Maria. Nel 2004 quelle poesie sono confluite con altre nella raccolta “Il vero amore non ha le nocciole” (Meridiano Zero) e nel 2009 ho scritto la mia terza raccolta “poesie d’amore per ragazze kamikaze (Purple Press), ora è appena uscito per Castelvecchi il mio primo romanzo: La febbre.
Ho studiato lettere e mi sono laureata in storia del teatro, sul teatro di strada, l’oggetto della tesi era il mio fidanzato dell’epoca che faceva il cantastorie.
N: Che bellezza! Diventiamo sempre più curiosi, rincorrendoti all’indietro fino agli anni ’80. Ho letto che a quei tempi rapivi Corazzini dalla libreria di tua nonna.
Lui parlava di balconi di cartapesta, tu ci parli di parole che sono fili di cotone. Pensi che la tua sia una poesia delle piccole cose?
F: No, perché per me non esistono le piccole cose. Tutto ha uguale importanza: i gerani e la guerra.
N: Io sono di parte per i gerani – e lo sarebbero certo anche mia mamma e il mio balcone che di cartapesta non è. So che le tue poesie sono state tradotte in inglese e pure in arabo! Hai avuto contatti con i tuoi lettori oltre penisola?
F: No, purtroppo mai. In arabo mi ha tradotto una poetessa molto brava che si chiama Joumana Haddad e che conisce bene l’italiano, ma non ci siamo mai conosciute dal vivo, solo scritte… e con i lettori di lingua inglese non ho mai avuto contatti! L’anno scorso ho fatto un reading insieme a dei poeti domicani, coinvolgendoli nella lettura di mie poesie, è venuto buffo, perché non sapendo l’italiano pronunciavano in modo strano.
N: Mi farebbe piacere se alla fine ci potessi dare qualche dritta per raggiungere i versi della signorina Joumana! (http://www.libreriagriot.it/products-page/vetrina/joumana-haddad-ho-ucciso-sharazad-oscar-mondadori-2001/) Ma ritorniamo a noi. Appaiono più volte, nei tuoi testi, posti pieni zeppi di gente: luna park, supermercati, metropolitane, feste e ristoranti – più o meno cinesi, contrapposti a luoghi intimi che sono a volte bunker: stanze, camere, che ritornano forti, coi loro muri e le loro pareti quasi in uno scatto di Francesca Woodman; ma anche entrambi, nei sogni di clausura in un convento. Che rapporto hai con la folla? Chi dei due gioca a rimpiattino?
F: E’ una domanda molto bella! Non saprei… la folla non mi piace molto, per esempio nei concerti soffro e anche alle manifestazioni di piazza
ma siccome ho un forte desiderio di vedere muovere il mondo mi tuffo volentieri nella città e nella sua vita, mi sento cullata e protetta proprio dalla metropoli e dal suo anonimato, penso che non mi troverei bene nella dimensione del paese (su cui si fa molta retorica).
N: Anch’io sono per la vita cittadina, non saprei salutare i sampietrini. Ti ho letta per versi, ma il tuo ultimo lavoro è un romanzo che non conosco affatto: Marcovalda 2000. Ci parli un po’ di questa ragazza? Porta i capelli sciolti o raccolti, le piace camminare o andare in kawaski quand’è Primavera? Ma soprattutto: che infatuazione hai per Calvino?
F: Marcovalda sto ancora scrivendolo, ma ne sono usciti alcuni capitoli per un progetto che si intitola “Abbonamento allo scrittore”http://www.quintadicopertina.it/ A suo tempo, ho molto amato Marcovaldo, quindi ho deciso di riprenderne la struttura (ogni capitolo una stagione) e il tono di fiaba, e soprattutto il rapporto di spaesamento che il protagonista ha nei confronti della città, che è un tema che mi interessa molto.
N: Ricordo d’aver letto un vecchio articolo della Stampa dove la signorina De Giorgi rivelava del debole di Italo per False Contesse che lo rincorrevano per l’Italia con la pistola nella borsetta! Ho da pochi giorni ricevuto un pacco: è Flirtare ai grandi magazzini, di Gertrude Stein. E’ una frase che forse potremmo ritrovare nei tuoi versi. Cosa pensi di questa più che nascosta poetessa? E poi mi chiedo – e un bene chiamare poetesse le donne e non poeti? Quali sono le scritture femminili che conosci e che rapporto tessi con loro? Patrizia Cavalli scriveva “sentirsi dire che la vita è crudele è proprio una cosa da marciapiede”, in una tua poesia parli di un umore da assoluto marciapiede. La ripresa del verso è voluta?
F: Penso che quando verrà pubblicata Marcovalda 2000 per intero anch’io avrò un bel po’ di False Contesse che mi inseguiranno per l’italia con la pistola. Gertrude Stein è una delle più grandi scrittrici del secolo passato, proprio L’autobiografia di Alice Toklas è uno dei libri che mi ha fatto venire voglia di scrivere, mi ha contagiato con la libertà del racconto e della sintassi e mi ha rassicurato che partire da sè stessi è sempre una buona scelta, una scelta onesta.Il verso che dici è un omaggio a quello di Patrizia. Poete o poetesse: è una questione lunga, nonché oziosa, uso i entrambi i termini per indicare una donna che scrive poesie, a seconda dell’umore.
N: Su Nazione Indiana hai parlato della tua Fiaba, una piccola serra dove hai ospitato ad uno ad uno i passanti, leggendogli poesie su temi a loro cari, e salutandoli poi con dono. E’ un’idea che mi ha colpita un sacco: ci racconti com’è nata e a quale delle letture ti senti più legata?
F: E’ nata andando in giro per il brico center e vedendo questa piccola serra fatta a forma di casetta. Costava poco ed era leggera, facile da montare, così l’ho comprata e ho cominciato a portarla in giro e a fare la lettura lì dentro, una lettura anti-spettacolare e intima, dove sia il poeta che l’ascoltatore sono responsabili di quello che succede. Presto la porterò anche a Roma…
Tutte le volte che ho fatto fiaba sono successe cose belle e molto diverse, ieri l’ho portata in un prato in montagna, c’era vento e a un certo punto la serra-casa è volata via, come nel Mago di Oz, e siamo rimasto io e la vecchina a cui stavo leggendo sulle nostre seggioline.
N: Aspettavo l’arrivo della parola Roma nel nostro discorso: bene! Mescolo l’inchiostro e ti chiedo un terno. Mi diresti tutto d’un fiato qual è il tuo verso preferito, il poeta che più ti sta a cuore e il romanzo che terresti sempre sdraiato sul comodino?
F: Il mondo che vi pare di catene\ tutto è tessuto di armonie profonde. (Sandro Penna) Il poeta è troppo difficile, voglio però fare il nome di una poetessa della mia generazione, che amo molto: Gemma Gaetani e anche il nome di Vittorio Reta, un poeta che ha scritto un solo meraviglioso libro negli anna settanta e poi si è sparato, il libro si chiama Visas. Tengo sul comodino Famiglia di Natalia Ginzburg e Restare vivi di Michel Houllebecq (sono consigli a un poeta, una specie di metodo, è un testo contenuto nel volume La ricerca della felicità)
N: Ho un piccolo grande striscio per Sandro, Michel è seduto nella mia libreria ma mi mostra un altro profilo e Natalia la conosco per motivi strettamente personali, capirai. Gemma e VIttorio non so nemmeno dove abitino, invece. Li pedinerò. Il carrello diventa più pesante sui fili del telefono. Mi sembra d’aver trovato la presa per passare a un ragazzo che ha lo stesso nome dell’azienda della cornetta: Vasco. In Per ora noi la chiameremo felicità, si parla di “ragazze kamikaze”. Conosci il signor Brondi o il suo è un omaggio di uno sconosciuto?
F: Gemma abita a roma! Non conosco Vasco, il suo è stato un inaspettato omaggio, gli ho scritto una mail per chiedergli se la ragazza kamikaze era proprio quella del mio libro e mi ha confermato. Per me è il massimo se ispiro un’altra opera a un artista che non conosco…
N: Rimaniamo sul palcoscenico. Mesi fa ero in treno verso il Nord. La ragazza accanto al finestrino era andata a prendersi un succo di frutta e ho sbirciato il suo Vanity Fair. Bianconi e le sue clavicole erano irradiati dalla tua Febbre. Metti anche a noi una pulce nell’orecchio con una frase d’introduzione? Hai un aneddoto della tua scrittura musicale a braccetto con Bianconi?
F: Proprio oggi sono reduce da un pranzo con Rachele Bastreghi la cantante che ha scritto la musica e ha cantato Dark Room la canzone che io ho scritto per i Baustelle. Aneddoti molto scarsi: ho scritto al sito dei Baustelle come l’ultima delle fan facendo loro i complimenti per le canzoni e ho mandato le mie poesie, Bianconi mi ha risposto, io ho osato chiedere se potevo scrivere per loro e lui ha accettato, ci siamo incontrati una sola volta per circa dieci minuti in un bar e poi mi ha mandato la musica su cui ho scritto le parole.
N: Ti piacerebbe continuare a scrivere canzoni? In caso, per chi?
F: Non so per chi… Vedremo cosa capita.
N: Io non saprei associarti a nessun cantante, così su due piedi. Ci penserò. Se un giorno crescessero le mele Genti, di che colore sarebbero?
F: Ahahha! sarebbero di un bel rosso geranio, piccole, croccanti, adatte ad essere caramellate.
N: Dalla redazione mi dicono d’aver finito i fogli e di voler rimanere appollaiati sugli alberi, come Cosimo. Saluta i lettori nella tua lingua preferita e consigliaci un brano.
F: Vivere, di Enzo Jannacci. La mia lingua preferita è quella del colore vi lascio con un verde prato e vi auguro buona estate.
N: Ti salutiamo sdraiandoci comodi comodi. A stendere una tovaglia sul prato c’è un comune amico di Dance Like Shaquille O’Neal e Jannacci: Bambino boma. Ha qualche piccolo problema con il twist, ma siamo ottimisti: avremo tutta l’estate per insegnargli qualche passo. Magari con una canzone di parole tue! A presto prestissimo