Ascoltare l’ultimo album dei Girls è come guardare il remake particolarmente riuscito di un bellissimo, vecchio film. “La Guerra dei Mondi” è il primo esempio che mi viene in mente: ok, l’idea l’ha gia’ avuta qualcun altro molto prima del regista/remaker, però anni di evoluzione cinematografica e effetti speciali da XXI secolo ti fanno scendere comunque un po’ di bavetta. Nel caso di “Father, Son, Holy Ghost”, la bavetta è tanta.
Lo stesso frontman della band, il bello e dannato Christopher Owens, assomiglia a un Kurt Cobain più hipster, così come gli alieni guerrafondai del film sopracitato: aspirapolveri con gli occhi nel film originale (ma avanguardia e novità assoluta, 50 anni fa), scintillanti prodigi della computer grafica nel remake odierno (ma copie).
I Girls, dunque, attingono alle sonorità della Storia del rock: partendo dalla cultura sixties dei Beatles, passando per i riff dei Led Zeppelin, influenzati dal grunge (“Vomit”), fino ad arrivare all’indie rock fresco dei giorni nostri (“Die” fa molto Wolfmother, ad esempio). Un’accozzaglia di sottogeneri nello stesso disco? Sì, ma perfettamente amalgamati e coerenti.
Il piacevolissimo primo ascolto dell’album è quindi una madeleine di Proust, ogni traccia catapulta l’ascoltatore verso un rock diverso da quello odierno, a cui non si è più abituati. Remake, quindi, rivisitazione, omaggio. Ma mai plagio.
In conclusione, un rockettaro nostalgico (inteso come qualcuno che non ne può più di campionatori, drum machines, e altre diavolerie tecnologiche che non mancano in nessun disco da qualche anno, oramai) troverà questo disco ottimo, e lo è. Chi ama motoseghe, pistole laser e cassa dritta, lo usi come sotto-bicchiere. E non legga più le mie recensioni.