Allora, se andate di fretta chiudete questa pagina. Però se la chiudete poi sono fatti vostri e per una volta non parliamo del maestro Magalli. Facciamo così, partiamo con lo streaming del disco, così mettete play e mentre ascoltate, leggete quello che segue.
NB: le foto che seguono sono gentilmente offerte dagli amici di Instagram.
— il comitato
Ripensandoci credo che le opinioni caritatevoli che ho verso il nuovo album dei Justice, siano maturate non esattamente con l’attento ascolto delle 11 tracce, ma tramite un breve episodio vissuto del quale il mio repentino cambio d’umore nei riguardi del comeback più atteso dalle province di tutto il mondo è forse solo la conseguenza minore: avendo risposto Somewhere ad una richiesta di suggerimento da parte di un’amica sulla scelta tra quest’ultimo e Lost in Translation come film da vedere in una serata casalinga, un terzo mi fa: «non hai capito un cazzo della Coppola». Ora voglio dire, a prescindere dal fatto che io reputi Somewhere una pellicola di una potenza descrittiva allucinante, nonostante un copione povero, con approcci sottili a temi fin troppo sviscerati dalla finzione cinematografica, a differenza di Lost in Translation che, secondo il mio ignobile parere, a parità di saturazione dei temi trattati mostra orientamenti stilistici più altalenanti, a prescindere dalla vaga impronta autobiografica che di sicuro carica di nuovi significati ogni singola scena, a prescindere dalla fotografia rarefatta e soffice che di per sé vale già l’intero lungometraggio, ecco a prescindere da questo, credo solo l’analista della Coppola possa con certezza zittire qualcuno circa la propria cliente usando il termine cazzo; e non mi pare affatto di essermi trovato in sua presenza. Quello che intendo dire con precisione forse l’ho già perso nel corso di questo incipit, ma ciò che rimane è il gradevole secondo lp dei Justice, Audio Video Disco che suona come un album composto per il puro piacere di fare ciò che si vuole. Xavier e Gaspard in fondo non hanno mai prodotto musica che fosse strettamente da club (We Are Your Friend non è inclusa nel discorso) , o perlomeno io non ho mai ascoltato un loro pezzo in un set (a dire il vero Civilization una volta sì, ma era intrappolato in un contesto goffissimo) e hanno sempre mostrato una latente predilizione per le chitarre elettriche, quelle degli shred più famosi e leggendari, che fino ad ora, cioè in Cross, si era palesata solo in unione ad una salutare mescolanza di elementi french house.
In Audio Video Disco, in uscita oggi, la naturale propensione verso un sound più progressivo rende i Cochi e Renato dell’elettronica francese sensibilmente più spontanei e semplicioni, come se stessero in realtà giocando a Guitar Hero ma con chitarre a tre manici, ad imitare i veri shredder del rock più heavy; un po’ inseguendo la stessa onda dei cugini, nati da un matrimonio interfamiliare, Crookers, che nel loro nuovo progetto Dr.Gonzo si spogliano della mondanità meritata col sudore, per tornare alla dancefloor più scostumata e perseguire solo ciò che l’ultimo cannino gli ha suggerito.
Sembrano ormai accantonate le ambizioni opera-disco da Goblin, anche se la traccia d’apertura, Horsepower, contiene ancora l’epico eco di Genesis che apriva il lavoro precedente, e, rinunciando al pedinamento dei miti della Crydamoure, Gaspard e Xavier hanno finalmente trovato il giusto modo per dare senso ai loro chiodi e alle tees degli AC/DC, scegliendo di registrare l’album con strumentazione live tra chitarre, bassi e batterie, non senza l’imbarazzo della prima volta. È un lavoro che ha una compattezza, uno spessore, un’identità; dalla prima all’ultima traccia è possibile sempre tenere stretto nella mano il filo conduttore, senza doversi perdere per nulla in digressioni colte o stolte, senza dover rischiare di perdere l’orientamento e ritrovarsi lontani minuti dal punto in cui si era persa l’attenzione. Ognuno di noi ha preteso che il loro agognato ritorno esplodesse in una nuova D.A.N.C.E. non preoccupandoci della necessità, che il duo invece ha espresso, di cercare un’evoluzione che fosse coerente e consequenziale al precedente lp, e di certo Civilization, non esattamente la traccia più esplicativa dell’album, non ha facilitato l’incontro tra le diverse esigenze.
Come avevo anticipato, ammetto di essere stato uno di voi, arreso al decadimento del mio duo preferito, dopo il binomio Will & Grace, ma poi ho ritrovato la retta via quando i vocals a cappella di Vincent Vendetta (Midnight Juggernauts) in Ohio mi hanno catapultato in un’ipotetica serie tv 70’s ambientata in Texas con colonna sonora degli Eagle e hot pants con camperos in cui due amici per la pelle, bianchi, si destreggiano tra pallottole e reggiseni, non senza spericolate acrobazie durante gli inseguimenti in auto. Una compenetrazione che mi ha trascinato, in seguito con l’intro di Canon, nel bel mezzo di una fiera frequentata da vecchie glorie del progressive rock, tutti presenti, dai Jethro Tull agli Yes, tutti invecchiati ma tutti ancora congelati nei loro outfit gitani e le loro basette che rivelavano un mondo fatto di ribellione e cambiamento, un mondo dove le porte erano aperte a donne come me (citazione di Mona Simpsons sulle note di Sunshine of Your Love). Una girandola di citazioni nella quale sono ovviamente invitati anche i Genesis, gli Who e addirittura i Beatles di Revolver, e tutti vengono drogati dalle raffinatissime iniezioni di baroque pop che rendono ogni riff più pomposo.
Certo, i Justice sono riusciti nella mirabolante impresa d’inimicarsi sia il pubblico rock, che preferirebbe vedere Mick Jagger cantare una canzone di Shakira piuttosto che ascoltare un duo di musica elettronica giocare con i loro sempiterni miti (detto fatto), che il pubblico electro, che pare dormisse mentre i nostri Justice già seminavano tracce di AC/DC a neve sulla tracklist di Cross. Insomma davvero credevate che Gaspard avesse quei baffi solo perché è un fan di Tom Selleck? Per me in quei baffi rivivono i Queen di We Will Rock You ascoltando il boom boom clap di Parade, che in fondo è uno dei brani più legati alla scorsa era, insieme a Ohio, Helix e la title track, in cui le nuove sperimentazioni prog rock convivono con le influenze di sempre (Tellier, Air, Daft Punk) conservando quel carattere electro-pop che era proprio di New Jack o The Party.
Egoisti, ecco cosa siamo stati, egoisti che non hanno accettato l’evoluzione artistica dei beniamini post 2006, se quest’ultima ha dovuto fare i conti con un background ingombrante che non ha la fortuna di combaciare con le contemporanee correnti musicali. Perché è qui che l’asino precipita per tutti i 160 piani del Burj Dubai; non ci sono riverberoni non c’è sperimentazione ambient, né interesse alla Chicago House, nè synth intellettualoidi, ma soprattutto non c’è D.A.N.C.E. pt.II . Augeezy e Rosneezy (è con il suffisso –eezy che è bene chiamare tutte le persone per cui provi affetto) hanno peccato nel non aver propinato quello che ognuno di noi s’aspettava da loro, un nuovo testamento dell’electro-cristiano, come se di testi sacri, in cucina come in sinagoga non ne avessimo già abbastanza. «Non è questo che ci si aspettava da loro» è il commento più patetico degli ultimi 5 mesi utilizzato per recensire in estemporanea un lavoro discografico: il treno me l’aspetto (ammettendo che io abiti in svizzera), che le 17 arrivino sul quadrante del mio orologio dopo le 16:59 me l’aspetto, che il vincitore di Sanremo sia gay me l’aspetto, che a Natale arrivi un film di Christian de Sica me l’aspetto, ma in ambito creativo no! Nulla deve essere dato per scontato, nulla può essere calcolato, nulla se non che Madonna pubblichi un nuovo album (nel caso in cui questo post venga letto tra 15 anni, quest’ultima affermazione sarà sempre valida). Audio Video Disco non è mai stato annunciato come il degno successore di Cross, pronto a rimettere tutto in discussione come Water of Nazareth fece all’epoca della sua venuta sulla terra, ma di certo è un lavoro studiato e motivato, nato quando i due durante un’esibizione della loro invisible band in un appartamento parigino si sono detti «hei! Ma perché non suoniamo delle scope invece che l’aria!?» e proprio mentre utilizzavamo delle scope come chitarre elettriche si sono detti «Hei! Ma perché non incidiamo un intero album con queste scope!?» ; e non è forse il segreto sogno di ognuno di noi incidere un secondo album a distanza di 4 anni dall’epico debutto con delle scope?
Ma poi che cazzo ne sai tu, di Sofia Coppola, è Thomas Mars che se la porta a letto, e tu sei lì a gasarti con Lisztomania!