Siccome DLSO è metodico e preciso, continuamo la carrellata di recensioni di dui (plurale di “duo”, problems?) di cui mi sto occupando: dopo Girls, Talkdemonic, I Break Horses e ATARI, ecco i The Dø.
Dan Levy, francese polistrumentista e Olivia Merilahti, cantante finlandese, iniziano la loro collaborazione come produttori di colonne sonore cinematografiche, e convogliano le loro fatiche (dopo il riuscitissimo album “A Mouthful”) in quest’ultimo lavoro, “Both Ways Open Jaws”. L’album suona bene, ed è difficile catalogarlo in un genere preciso: spazia dall’indie pop, al folk, ricorda a volte la prima Bjork, a volte Soko, un po’ di Noah And The Whale, a volte addirittura M.I.A., ovviamente meno tamarra (giuro: ascoltate “Slippery Slope”). L’indie più fresco in un unico album? Aspettiamo a gridare al miracolo.
Infatti, non sono le ottime influenze a rendere ottimo un album: “Both Ways Open Jaws” non eguaglia il lavoro precedente, che era di gran lunga più fresco e gradevole. L’ultimo prodotto del duo manca di un’atmosfera che accomuni i pezzi tra loro, le troppe influenze confondono l’ascoltatore, che può amare un pezzo e odiare quello dopo. L’utilizzo di quasi tutti gli strumenti musicali creati dall’alba dei tempi ai giorni nostri (utilizzano anche il triangolo!) è apprezzabile, ma non produce trasporto, non emoziona. Non sto dicendo che l’album è brutto: merita di essere ascoltato e i pezzi orecchiabili ci sono (trovo “Leo Leo” autenticamente BELLA), ma è l’album ascoltato da inizio a fine che ha qualcosa che non va. È come se il disco intero sminuisse i singoli pezzi che lo compongono, perché sono tutti troppo slegati tra loro.
Se mi fosse concesso di dare un voto al disco (il più grande traguardo per un recensore snob), gli darei 6 meno meno meno. Ma siccome non posso farlo, vi dico: ascoltatelo e smentitemi voi.