È da poco uscito il suo secondo disco (clicca qui per lo streaming). Quale migliore occasione quindi per una breve chiacchierata con Marcello Petruzzi in arte 33 ore?
Ecco cosa ne è venuto fuori.
1. “Ultimi errori del 900” è il tuo secondo disco come 33ore. Arriva a due anni da “Quando vieni” e suona molto diverso (a tratti sfiora il country, in altri episodi è più blues). C’è un motivo particolare o è stata una naturale evoluzione?
Ciao!
Se c’è un motivo particolare questo è stato il voler tornare a suonare con i volumi alti, con i limiti dichiarati e con tutte le mie voci diverse anziché restare sulle note e sull’umore del primo disco. Un umore che non definirei mai opaco, non si tratta di rinnegarsi, ma era certamente più appartato. Fai finta di usare un cappello che hai in casa da qualche anno, lo senti bene addosso però continui a spostartelo sulla testa ed è grigio, comunque è proprio il tuo. Passeggi soddisfatto e perplesso, strada facendo ritrovi tutti gli altri cappelli, sei empre più tranquillo e disincantato, alla fine scambi. Ti dici: ecco come ero prima! Sono proprio a mio agio. E il prossimo?
Questo significa che da anni scrivevo canzoni e me le tenevo a parte, poi ho avuto modo di pubblicarle; erano comunque molto legate al periodo di allora nel senso che non mi preoccupavo di parlare chiaro su come stessi un po’ a pezzi nello spirito (e adesso rido!) e allora si è fatto presto ad associarmi al termine intimismo. Tu che sai di essere solo a un punto minimo di un processo ti trovi a non saper spiegare che non finisce lì, ed in effetti è giusto doverlo dimostrare con i lavori successivi. Non approvo chi si ferma nello stile del resto. Perciò si tratta di evoluzione anche se questo caso nello specifico è un po’ all’inverso perché la matrice blues un po’ sporca era una dote degli albori solo momentaneamente ritirata, così anche le dosi di cinismo e di ironia.
2. Parlare di cantautorato per questo album mi sembra riduttivo – forse perché tendiamo sempre ad associare il cantautore alla chitarra acustica, a suoni morbidi, voci delicate. Eppure di questo si tratta. Cosa significa per te essere cantautore?
Tempo fa scherzavo con un Iosonouncane, eravamo ad un concerto d’estate e io mi ero fissato a guardare a vuoto in un punto mentre questi suonavano di brutto (non ricordo chi fossero), lui mi ha fatto notare che mi ero allontanato e ho risposto: Scusami sto scrivendo una canzone. Quando dici cantautore fai venire in mente a chi ti ascolta l’immagine di un personaggio riflessivo, un po’ dannato e che pensa sempre a qualche suo “manco d’amore”. E’ bene giocarci sopra per come vorrei essere inteso. Questo album per me non è cantautorato anche se come parola serve a descriverlo. Testi in italiano più personalità uguale cantautore. E va bene no? Del resto English lyrics plus personality is equal to songwriter. Però venite ad un mio prossimo concerto così poi si parla di agro-punk-blues, che ci sta un casino.
3. Che peso hanno le parole per te? Quanto è importante quello che canti, quanto ti concentri sui testi al momento di comporre?
Per me funziona così: scrivo molto, di tutto, appunti, attraversando le letture o annotando piccoli fatti che succedono a me o che qualcuno mi racconta. Su questo non ci piove: una mezza ossessione. A prescindere da ciò suono ore ed ore senza aprire bocca, non solo con la chitarra, compongo delle basi elettroniche se mi va, dei loop, prima o poi li userò anche se adesso è una cosa che viaggia sotto la fatidica fregatura della tecnologia di consumo vestita da moda necessaria e travestita da sintonia coi tempi. Poi quando trovo qualche nota che si incastra con una musica buona si chiude un primo cerchio e se mai lavoro su quella nota. Ne nasce un testo che cambia qui e là. Non mi va sempre di cantare col cuore in mano ovvero di mettermi a soggetto della canzone. Inoltre ho i motori accesi da un pezzo su un progetto letterario tout court, un’integrità in questo caso che non se ne fa nulla degli angoli di una melodia, li ignora, non ci deve stare dentro. E’ lì che riverso il vero peso della questione parole.
4. Se 33ore pubblica il primo disco nel 2009, Marcello Petruzzi invece suona da qualche anno in più (nel suo curriculum: Caboto, Franklin Delano, 4 fiori per Zoe, Nordgarden e anche un periodo nei Massimo Volume). Quanto delle esperienze accumulate ti porti dietro tuttora? qual è la lezione più importante che hai imparato finora?
Principalmente, nel fondo di Ultimi errori del Novecento, mi porto appresso un ritorno a certe origini americane che per me sono orientate sulla civiltà afroamericana in particolare. Era mia da ragazzino e con i Franklin Delano comunque ho ripreso a che fare con quella dimensione. Soprattutto nel rimescolamento di quegli stili perciò soprattutto nel breve periodo in cui li ho accompagnati quando erano Blake/e/e/e. Con questa band mi si apriva la mente nei concerti, davvero. Dei Caboto potrebbe essere rimasto qualcosa in certe canzoni ampiamente arrangiate e con qualche caratteristica seventies, suono di Canterbury, ma ormai estremamente vago. Era proprio un altro tipo di lavoro e io suonavo il basso. Le altre sono collaborazioni in cui sostanzialmente eseguivo canzoni ben deineate. Infine una precisazione sui Massimo Volume: si trattava di un progetto con Vittoria e Mimì precedente alla rifondazione del gruppo. Abbiamo delle registrazioni di lavoro molto entusiasmanti ma anche per mia responsabilità non sono mai state concluse. Questo però in termini assoluti di causa-effetto ha portato alla rinascita dei Massimo Volume, di cui io sono innamorato quanto un qualsiasi fuorisede diciottenne arrivato a Bologna negli anni ’90, e me li sono goduti sottopalco come allora: non poteva che andare così!
5. Hai dedicato una canzone a Monicelli (Il vecchio Mario), in cui per l’appunto un ritmo country, piuttosto scanzonato, fa da contraltare ad un testo serio. Sembra quasi un modo per essere all’altezza del personaggio, imprevedibile e provocatorio. L’uomo Monicelli era artista nel suo essere “buono e stronzo come il mondo”? è la capacità di non essere monotòni a fare la differenza secondo te?
La differenza la fa il fare.