Nelle mie cuffie quest’oggi echeggia il cadenzato mantra di How we danced, il raffinato disco d’esordio dei romani City Final, un signorile dipinto a colori che ha tutto il sapore dei vecchi quadri impressionisti, quelli in cui un paesaggio ricoperto di neve si dipingeva utilizzando il rosa, il marrone, il celeste, il verde imbrogliando l’occhio umano che lo credeva completamente bianco. Candido. Esordio dal gusto popolare, ricco di profondi riverberi e di cartoline anni Sessanta, malinconico ed evocativo. E pulito. E garbato. La meticolosa cura del suono e degli arrangiamenti dominano il proscenio e intrattengono gli astanti senza mai annoiarli, guidandoli nelle reminiscenze di una vita. I viaggi in Olanda. La pioggia in Portogallo. L’overture pop Dance with me schiude le porte verso una pianura ultra-melodica che commemora gli Smiths e i Byrds con chitarre dolcissime, sfumature di organetti e pianoforti ed una batteria squisita che -a mio condannabile parere- è il bocciolo prezioso di tutto il lavoro (chiudere gli occhi su The Lion’s tears). Sono i tremoli di chitarra e il nobile cantato di North on Canvas (il ritornello sopraffino mi colpisce al cuore) a chiedermi se voglio ballare con loro, mentre il mandolino della conclusiva Home from home è un giro in giostra. E mi ritrovo ad avere cinque anni.