Chillwave, r’n’b The Dream-inspired, James Blake-minimalistic synth e low-tempo si raccordano nelle visioni languide di Noah “40” Shebib, che con sensualità e malinconia, produce gran parte delle tracce nell’album, rendendolo solido e unito, un sound scuro ed emozionale confezionato su misura per Drake, già apostrofato come the softest nigga in da game. Over My Dead Body apre in questi termini l’esecuzione con il piano di Chilly Gonzales, costante nei lavori di Dreezy, e da subito mostra un’anima ovattata dalle tinte downtempo che lungo la tracklist modifica le proprie texture in favore di toni più alti solo negli incroci con i produttori T-Minus e Just Blaze. Il primo propone una Minaj dal verse di fuoco, modulata e poliedrica in una Make Me Proud dai chorus più che convincenti, mentre il secondo incendia l’ambiente ricreando le atmosfere del miglior Jay-Z d’annata in Lord Knows in cui il beat the-blueprint-esque dà spazio ad un disinvolto Rick Ross sorretto, a fatica, dal coro di voci in esplosione. In Doing It Wrong incontriamo una commovente armonica addomesticata da Stevie Wonder che lentamente introduce alla jam The Real Her, una mid-tempo metallica che mostra i tangibili miglioramenti della voce di Drake, dai tempi di Thank Me Later, grazie ai quali ora può permettersi di sostenere un brano incisivo e maturo come questo e dargli lo giusto smalto da baby-making 90’s con l’ausilio dei verse di Lil Wayne e Andre 3000. Così allo stesso modo ci saggia delle sue inedite abilità da speed-tongue in HYFR (Hell Yeah Fuckin Right) mentre spiazza la raffinatezza del seguente brano, Look What You’ve Done, che cala l’esecuzione in un clima ultra-intimo, in cui pare esistano solo il piano di Chilly Gonzales, i vocalizzi soul di uno pseudo Jamie Foxx in background e la voce narrante di Drake. The Crew e The Ride trovano invece sfogo nella presenza evanescente della giovane stella dell’indie r’n’b canadese the Weeknd, che in coppia con Dreezy pare possa dar vita al duo canadese più famoso negli USA dopo Trombino e Pompadour; nelle tracce che lo vedono ospite è sufficiente la sua voce rarefatta a conferire sfumature dub-soul sostenute dai battiti dell’808. Lo stesso tappeto che modella la gelida e minimalista Marvin’s Room, esperimento di pregevole fattura che come una spugna assorbe influenze dalle scene emergenti elettroniche più raffinate e avanguardiste innestandole nel proprio midollo.
Se Take Care è in definitiva l’ennesimo album post-Kanye West ormai a noi non interessa; tutto ciò che abbiamo avanti è la collezione di quelli che sono i più bei spunti della musica contemporanea. Drake è riuscito a confezionato un lavoro in cui sono raccolti tutti gli stimoli migliori ricevuti da Thank Me Later ad oggi, per cui poco importa sapere se si tratti dell’album post- Kanye, post- James Blake o post-any-shit. Ciò che resta è la forte sensibilità di un artista che da dire ha davvero tanto e, per quanto possano essere disparati gli stimoli catturati, è il filtro del proprio genio a saper come ricomporre tutto e tramutarlo in qualcosa che sia davvero valido, come è stato fatto in Take Care.
Se c’è una cosa che ho imparato da Shark Tale è che non bisogna giudicare qualcuno dalla distanza che c’è tra i suoi occhi, un uomo-squalo ha pur sempre le orecchie alla stessa distanza dal cuore.
(mp3) » Drake – Hate Sleeping Alone (via wphh)