Qualche giorno fa il mio amico Gianluigi mi ha girato un link, arrivato alla mail di DLSO. Nient’altro che un set di una decina di canzoni, firmate Corrado Meraviglia.
Abituati come siamo a questa nuova dimensione di webscouting, dove quello che non si arriva a scoprire attraverso conoscenze e consigli (il web ha decisamente riscritto il principio dei sei gradi di separazione, dovremmo provare a cambiarla nei sei gradi di following o di friendship sui social network…) si presenta in prima persona, magari con una semplice mail.
Mi hanno colpito questi brani, e tra poco vi dirò il perché e il per come.
Solo una premessa: Corrado è un quarantenne di origini savonesi, evidentemente poco interessato ad apparire (è solo di due giorni fa la creazione della sua pagina fan – con annessa autoironia). L’ho contattato personalmente, per farmi raccontare come fossero state registrate, e prima ancora composte, le canzoni. Come sospettavamo Gianluigi ed io, è tutto frutto della sua sensibilità musicale e della tecnologia: le canzoni sono suonate (da lui stesso, nel caso della chitarra) o “prodotte” (nel caso dell’elettronica e delle percussioni, trattasi di campionamenti o utilizzi di programmi di editing e producing, nello specifico GarageBand) da lui stesso, e registrate a casa. In poche parole, un altro esempio del DIY del terzo millennio.
E mi è sembrato quasi di immaginarlo, ascoltando i pezzi: in piena notte, intento a finire un pezzo pensando che sia soltanto una velleità tardo adolescenziale la sua; o mentre guarda fuori dalla finestra, pensando a quanto sia opprimente questa città, combattendo contro il voler essere altrove con una biro e un foglio di carta.
Quando ho ascoltato la prima volta Un nuovo inverno ho pensato che Ivano Fossati avesse incontrato un ragazzo degli anni ’90 e gli avesse chiesto di produrgli un beat da mixare con la sua chitarra. Ho “riavvolto il nastro”, premuto di nuovo play e provato a non farmi distrarre dall’elettronica (che sembra un campionamento di uno di quei pezzoni anni ’80 tornati in auge ultimamente): mi sono rimbalzate nelle orecchie la voce di Corrado, la melodia figlia di un cantautorato classico, da maglioncino a collo alto e sigaretta accesa, il testo amaro (ma non troppo), la sensazione di alienazione (ma non troppo), le immagini di vita quotidiana (ma non tutte).
Ma la vera perla secondo me è Quattro anni a Roma. Sarà per il tono malinconico, il testo intimista e riflessivo, o per quel qualcosa di importante che non si riesce mai a fissare nella memoria. Sarà il finale che sembra lasciare qualcosa in sospeso, e che mi ha ricordato le atmosfere della Roma di notte dei (fu) Tiromancino di un decennio fa. Sarà il contraddire con tutto il resto del brano un’introduzione che farebbe pensare a un brano banalmente pop.
Corrado Meraviglia è davvero una bella scoperta.
Non vorrei però farmi prendere da facili entusiasmi: un rischio c’è, ed è quello di ripercorrere strade già calpestate, lastroni di marmo già incavati dal passaggio di carrozze e poi autobus e camion. In questi primi pezzi sembra di camminare sul filo del già sentito. Quello che qui colpisce è la capacità di uscire dall’impasse della conversazione, paralizzata da quel “certo che Roma è sempre bella”, mostrando subito dopo un’immagine di una città vista di notte, da dietro una finestra, con occhi nuovi. Con uno sguardo da cantautore vero.
Per ora lo aspettiamo alla prova della prima pubblicazione: il 4 gennaio uscirà infatti per La Fame Dischi il suo primo album, dal titolo Parlo sempre con le persone sbagliate. Le premesse sono davvero ottime.
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