Il revival hardcore-grunge è qualcosa adorabile, con tutta quella commistione di bassa fedeltà, di ruvidezza ed accurato lerciume sonoro, tanto da diffondere nella mia testa un (poco) velato senso di incazzatura e viscerale odio verso il mondo intero. Endorfina. Ieri sera mi hanno rubato il motorino sotto casa e stamattina nelle mie cuffie vengono a farmi visita i Silver Rocket, quasi a confortare un’anima in pena. La mia. E il trio ferrarese mi dà del tu col loro primo full-lenght Old fashioned, un lavoro diretto, a senso unico.
Dritto dentro l’umore vitreo di ‘sta giornata dimmerda. E le dieci tracce del bellissimo album racchiudono tutta la autorevolezza degli anni Novanta, dai Nirvana meno popular (repeat sull’attaccabrighe Failure and disaster), passando dai Dinosaur Jr. (The Getaway), con qualche cartolina all’indirizzo dei Pavement (l’outro That’s life da studiare a memoria; strepitosa), degli Happy birthday e dei conterranei Modotti. Ma commemorare altri gruppi è sempre una perdita di tempo. L’album dei SR è uno scrigno coerente, privo di contraddizioni, un ordigno da ascoltare tutto d’un fiato, un portagioie aggressivo stracolmo di distorsioni (il gustoso fuzz sulla chitarra e le alterazioni sul basso sono notevoli), di perizia in fase di mixaggio (a mio sindacabile giudizio la scelta della voce più indietro rispetto alle chitarre e alla batteria [eighties e suonata con potenza] è ottima) e di vivida naturalezza. Come se fossero nell’altra stanza a suonare. Non ci sono peli sulla lingua, ornamenti superflui. Conta solo la collisione. Mi mangio le mani per non averli visti al Covo di Bologna, la loro nicchia ecologica.