Islands, dove sei stato tutto questo tempo? Dopo aver procrastinato la review di questo album, sepolto nella mia disordinata cartella “Musica”, mi sono bastati circa 2 minuti di ascolto per capire che: procrastinare è sempre e comunque sbagliato (quasi mi sentivo in colpa nei confronti dell’artista), e il mio selezionatissimo (poichè poco capiente) iPod avrebbe vantato di un nuovo album (a scapito della povera Lana del Rey che sì, mi ha stufato).
A Sleep & A Forgetting non porta nulla di rivoluzionario nella scena indie-pop, ma ciò non toglie che sia un ottimo album. È come ascoltare un Elliott Smith un po’ meno acustico. E siccome era da tanto che non ascoltavo Elliott Smith, Islands ha avuto il pregio di riportarmelo alla mente, ho ascoltato prima uno e poi l’altro.
Ogni pezzo trasuda malinconia e perdita, per cui l’album non può essere ascoltato a cuor leggero, ma è pur vero che ogni disco ha un giusto tempo e un giusto luogo. Se siete in quel mood tale per cui siete particolarmente tristi e volete farvi del male, farvi un piantino e sentirvi meglio dopo 37 minuti di ascolto, il disco è perfetto. Ma è adatto anche nei lunghi viaggi in autostrada in cui non avete voglia di rimbambirvi, nemmeno di tamburellare le mani sul volante. O in un preserata a base di divano, sigarette e (poco) vino. Insomma, va ascoltato e collocato in una situazione. Sicuramente non merita di essere scaricato e dimenticato nella cartella del vostro portatile, come ho fatto io. Quindi, scusandomi virtualmente con Nick Thorburn (Islands, appunto), vi esorto all’ascolto. Che poi vogliate piangere, viaggiare o berci su, it’s up to you.