Lo abbiamo atteso con impazienza questo libro, uscito all´inizio di quest´anno per Tuttle Edizioni. Sfogliato con curiositá, letto una prima volta tutto d´un fiato, lasciandoci travolgere, inevitabilmente, dalla mole di nomi, date, titoli, labels contenuti al suo interno e soprattutto dalla scrittura, unica ed inimitabile, ispirata e (ma non poteva essere diversamente) polarizzante. Lo abbiamo poi ripreso in mano e riletto con piu attenzione, saltando tra pagine e capitoli, andando a cercare quel particolare paragrafo, quella frase che ci aveva spiazzato, oppure illuminato. Siamo andati a rispolverare certi vinili, certi CD. Alcuni mai dimenticati, altri sottovalutati. Ma, cosa piu importante, ci siamo lasciati (ri)contagiare dalla passione di cui questo libro é pieno fino a scoppiare. Un libro che si intitola “Techno: Storia, Dischi, Protagonisti”. Abbiamo intervistato il suo autore, Christian Zingales.
-Innanzitutto vorrei sapere se sei in grado di riassumere in momenti e dischi fondamentali lo sviluppo della tua passione per il genere Techno?
Conoscere la techno significa conoscere Detroit, dove è nato tutto, e così è stato per me. Ricordo l’emozione nello scoprire questa musica aliena che si manifestava in modi diversi ma con uno stesso feeling, attraverso pionieri come Juan Atkins e Derrick May, penso a pezzi come The Chase o It Is What It Is, e poi innovatori come Jeff Mills: la sua The Extremist mi sembrava una delle cose più violentemente bianche mai sentite e invece veniva da un nero! Il battesimo del fuoco poi la conoscenza della saga più visionaria e affascinante del pianeta Detroit, quella dei Drexciya. Viverne le tappe in diretta è stato un privilegio.
-L´unico titolo che citi come bibliografia di riferimento è “Mondo Techno” di Andrea Benedetti. Leggendo il tuo libro viene da chiedersi instintivamente quali sono state le fonti dalle quali hai tratto tutti i dettagliatissimi dati, nomi e titoli. Anni di collezionismo di riviste specializzate e dischi? La rete ha giocato un qualche tipo di ruolo?
Anni di acquisto di dischi, non per mero collezionismo ma per passione. Le informazioni erano poche ed esclusivamente sulla stampa inglese, in Italia nessuna rivista rock ha mai trattato di techno né di house, e quando è nato Blow Up è stato naturale per me cercare di colmare questa lacuna. Più che altro il percorso di conoscenza passava dalla caccia nei negozi di dischi, l’identificazione progressiva di artisti ed etichette discografiche, e in Italia poi attraverso un network di pochi ma accaniti appassionati che aveva senz’altro epicentri in una città come Roma, che con produttori come Leo Anibaldi, Lory D, Andrea Benedetti e Marco Passarani, rappresentava una delle scene techno più influenti a livello mondiali, o realtà come il Link di Bologna. La rete è stata utile solo in ultimo nella consultazione di un database come Discogs, per confrontare i dati discografici, cercare eventuali titoli mancanti, ma l’epopea della techno raccontata nel libro è il ritratto dell’ultimo grande periodo prima dell’avvento di Internet, parla di un modo di conoscere le cose viscerale, sul campo, che oggi Internet tende a limitare.
-In uno dei capitoli che per motivi affettivi ho apprezzato di piú, quello sulla scena Techno in UK, salta subito all´occhio l´assenza di Underworld e, fatte le dovute distinzioni, Chemical Brothers. Due acts che a prescindere la valore intrinseco, per molti, soprattutto in Italia, sono stati una specie di porta d´ingresso verso il mondo dell´elettronica virata Techno. Che ne pensi?
Amo Underworld e Chemical Brothers, ma il loro è un sound crossover che ingloba cose diverse, techno, house, rock, breakbeat, pop, il lascito di quella mentalità freeform che viene dall’esperienza balearic inglese. È quello che una volta si chiamava “progressive house”, il codice che prevale è quello meticcio della fusione, l’elemento techno è un ingrediente sonoro tra tanti. Mentre invece ho inserito nel libro gli Orbital per la loro prima fase che è prettamente elettronica e techno.
-Da piú parti negli ultimi anni si è decretata la morte della Techno. Secondo alcuni la cosidetta Bass music ne sta prendendo il posto fornendone una specie di riattualizzazione/evoluzione, penso ai lavori di Burial o Scuba. Quali sono le tue opinioni a proposito?
Se è vero che la techno “è morta” a metà anni ’90, quando dopo 10 anni di rivoluzioni incredibili è diventata un formato svuotato di senso, e ha lasciato che il primato della tecnica eliminasse quella profondità che l’aveva contraddistinta fino allora, a farne le veci, e molto male, è stato quel sound venduto come “minimal”, un modo commerciale di occupare il mercato che era della techno con groove ibridi senza storia, là dove la techno abbracciava il suo passato per poter correre più velocemente verso il futuro. La bass music e il dubstep sono invece le ultime declinazioni di quella cultura urban inglese che dai ’90 ha iniziato a proliferare muovendo dal lato più black del suono da rave dell’inizio di quel decennio. Hanno preso il posto della jungle quindi e non della techno.
-Che ne pensi degli esperimenti che artisti quali Jeff Mills, Carl Craig, Moritz von Oswald, Laurent Garnier o Ricardo Villalobos stanno facendo da alcuni anni spaziando in territori al di fuori dei confini della Techno incontrando il Jazz, la musica “colta” e d´avanguardia?
Mi sono piaciuti molto i lavori del Moritz Von Oswald Trio, quello di Von Oswald e Carl Craig su Deutsche Grammophon, e il Villalobos con Loderbauer sul catalogo ECM. Ho trovato stucchevoli invece Jeff Mills con la Montpelier Orchestra e Laurent Garnier quando fa la sua messa in scena jazzy. Nei primi ho trovato vera ricerca sonora, nei secondi solo techno per turisti.
-Personalmente come vedi il futuro della Techno?
Possibile, ma non immediato. Ci sono stati grandi segnali nell’ultimo anno di un riavvicinamento a sonorità di vera techno, senza edulcorazioni di sorta. Manca ancora l’innesto definitivo, e quello lo potrà dare solo il tempo, quando deciderà di farsi di nuovo tutt’uno con quel suono.
-Hai nuovi progetti librari in cantiere?
Sì, lavorerò a una biografia.
-Se tu dovessi fare una lista dei migliori dischi Techno di questa prima parte di 2012 quali titoli includeresti?
Le uscite interessanti sono parecchie, ne parlo ogni mese su Blow up, senz’altro ci tengo a citare due realtà italiane, un produttore come il veneziano Massimiliano Vianello che ha appena fatto un grande EP come Hazylujah su Delsin, e un’etichetta romana come la Minimal Rome, che fa capo a Valerio Lombardozzi e si è riappropriata del concetto nobile di minimalismo dopo anni di strumentalizzazione del termine, con un suono cupo che fa onore poi a una città con una tradizione techno di pregio come Roma.