Estate amaranto.
Il caldo non solo è alle porte, ma entra senza manco chiedere permesso -cristosanto-. E nell’ansante boccheggiare delle prime battute di giugno ho degli ospiti per pranzo, i Van Houtens che da Milano vengono a farmi visita nelle cuffie. Dritti dentro la mia testa. Tra poco meno di venti giorni il loro primo album Flop sarà ufficialmente res publica e nell’ascoltare l’anteprima mi assale un dubbio che per certi versi suona come lo stupido è chi lo stupido fa del Sig. Gump, da Greenbow con amore: i signorini o sono dei gèni (plurale di genio, non di gene), o sono dei forsennati imperscrutabili.
Ascolto il disco due volte perché non ho le idee molto chiare, poi l’esitazione lascia spazio alla consapevolezza che la Face Like A Frog Records abbia colpito nel segno. Il disco della band di Verbania è un potpourri aromatico ed ultra-melodico che dondola tra il vivido sarcasmo dei testi popular e il multiforme itinerario musicale che va dal rock psichedelico (mettere il repeat su Matala), passando per il power-pop più anticonformista (John Ferrara & Betty Karpoff è un trattato di creatività: “John is contento confusion sentimento” mi fa andare in solluchero), versandosi nell’orchestrale-sintetico (Waiting for the sun). Il grosso pregio di tutto il lavoro dei Van Houtens sta nella linearità e nella genuinità di canzoni che non si prendono sul serio, di ariette sciocche ma non per questo banali: le melodie restano nelle orecchie e prendono domicilio, come squatter arrembanti. Chitarre acustiche, ukulele, palloncini, tamburelli, oscillatori, clown, Beatles a non finire, bambini, trombe, saltimbanchi, carta velina, bonbon, succhi di frutta, nascondino-mosca cieca, vocoder, arpeggiatori, fiori e fuochi artificiali.
Questo—e molto altro ancora—il 20 giugno nei migliori negozi di dischi.