Io, come l’ultimo dei profani in fatto di hip hop, Dargen D’Amico l’ho scoperto grazie a quel capolavoro senza tempo che si chiama Nchlinez. Era un pezzo che dava una svolta/scossa ai miei gusti musicali da metallozzo sfigato, non mi sembrava vero che mi piacesse un pezzo rap—anche se con “suoni da deephouse”, ok. Mi sono trovato innumerevoli volte a urlarla guidando, da solo o no, recitandolo come una poesia, polleggiando con la testa. Ecco, per me Dargen D’Amico era solo quello, l’idolo del Crookers Mixtape che mi ha fatto avvicinare all’hip hop. E invece.
Due pezzi da una ventina di minuti ciascuno, Nostalgia Istantanea è un lavoro pregiato, per testi, concetti e atmosfera: osserva dall’alto l’hip hop contemporaneo italico ghetto-brutto, quello che fa sentire i ragazzini delle rockstar solo perché fumano 4 canne al parco Lambro. Per fortuna, oltre alle rhymes c’è di più.
L’album è un intero stream of consciousness, poche rime, nessun ritornello, nessuna be-be-bella collabo; alla fine della prima traccia si trova la dichiarazione d’intenti dell’artista, in perfetto stile J D’Amic: “Questa esperienza, che per qualcuno potrebbe essere anche un semplice esperimento, è stata scritta nei momenti che seguono e precedono di poco il sonno, usando quel lessico da narcolettico – quel NarcoLessico…”
Di più non si può raccontare né recensire, dovrei forse descrivere il flusso di pensieri di Dargen D’Amico? Altro, in Nostalgia Istantanea, non c’è. Ed è questa la grande forza del disco, e ascoltarlo ti fa venire anche un’invidia fottuta nei confronti del suo cervellone.