Siccome già dovrete sorbirvi la mia faccia (per fortuna con poca luce addosso) e la mia voce, l’introduzione all’intervista l’ho fatta scrivere a Daniele, che ha girato, montato, sistemato il video. Seguitelo su twitter, il ragazzo ha del talento (anche letterario).
Fusoradio regalava un biglietto per il concerto all’Init dei Pinzo Penguins (cit.) e dei FBYC; ci ho provato e il biglietto l’ho vinto davvero (l’ho regalato a Frenchi, il gatto che vive con me e Sara). Poi Luigi mi ha scritto una cosa tipo: “Se vieni con la videocamera facciamo una videointervista”. Abbiamo girato l’intervista dopo il concerto, nella notte (voglio essere altrettanto onesto: non me lo sono mai cagato Max Pezzali, ascoltavo trash metal puzzoso ai tempi). Io e Sara siamo tornati a casa alle cinque del mattino. Alle sette avevo il turno. Che schifo la vita.
Durante il montaggio, mi è venuta in mente una roba disperatissima che avevo letto di recente, precisamente questa:
L’ironia nell’arte e nella cultura del dopoguerra partì con gli stessi obiettivi della ribellione giovanile. Fu un processo difficile e doloroso, ma anche produttivo – una diagnosi spietata di una malattia che per lungo tempo si era preferito non vedere. Le premesse che stavano alla base dell’originaria ironia postmoderna erano d’altro canto ancora effettivamente idealistiche; si presumeva che l’eziologia e la diagnosi indicassero immediatamente la cura, che la denuncia di uno stato di prigionia portasse di per sé alla libertà.
E allora come mai l’ironia, l’irriverenza, il senso di rivolta si sono rivelati fattori non di riscatto ma di depauperamento per la cultura che oggi gli scrittori sperimentali cercano di descrivere?
Un indizio va trovato nel fatto che l’ironia gode di ottima salute, è più forte che mai anche dopo trenta lunghi anni trascorsi come forma di espressione più brillante e innovativa. Non è soltanto una modalità comunicativa che si porta bene gli anni. […] Che devi fare quando la rivolta postmoderna diventa un’istituzione della cultura pop? Perché questo chiaramente è il secondo motivo per cui l’ironia e la rivolta dell’avanguardia sono diventate annacquate e nocive. Sono state assorbite, svuotate, e reimpiegate dallo stesso establishment televisivo al quale si erano originariamente opposte. […] Come ribellarsi contro l’estetica della ribellione proposta dalla tv, come far aprire gli occhi ai lettori sul fatto che la nostra cultura televisiva è diventato un fenomeno cinico, narcisistico, essenzialmente vuoto, quando la stessa televisione esalta regolarmente proprio queste caratteristiche in sé e nei suoi spettatori?Queste sono esattamente le domande che quel povero coglione di ‘pop-ologo’ di Rumore bianco si poneva nel lontano 1985 sull’America, il fienile più fotografato:
“Come sarà stato questo fienile prima di essere fotografato?” disse Murray. “Che aspetto avrà avuto, in che cosa sarà stato diverso dagli altri, e in che cosa sarà stato simile? Domande a cui non sappiamo rispondere perché abbiamo letto i cartelli stradali, visto la gente che scattava foto. Non possiamo uscire dall’aura. Ne facciamo parte. Siamo qui, siamo ora”.
Ne parve immensamente compiaciuto.
(tratto da Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più di David Foster Wallace)
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