Ieri, vi abbiamo mostrato il mini-documentario sulla realizzazione del disco. È arrivato ora il momento di lasciare la parola ai Mamavegas che ce lo racconteranno traccia dopo traccia per la rubrica discoraccontato®.
I Mamavegas sono:
Marco Bonini, Emanuele Mancini, Andrea Memeo, Daniele Petrosino, Francesco Petrosino e Matteo Portelli.
HYMN FOR THE BAD THINGS
Francesco: Ero sull’autostrada Roma-Caserta. Pensai che era la prima volta che facevo quella tratta per un funerale. Ed era il tragitto per casa mia, cioè per il paese in cui sono cresciuto ed ho vissuto fino ai 24 anni. Avevo percorso quel tratto di autostrada forse un centinaio di volte, ma mai per un funerale. Era strano. Lo avevo percorso per andare a fare l’amore, per recuperare soldi, per traghettare ettolitri di vino che a stento sopravvivevano al tragitto. Ma mai, mai per un funerale. E se fosse un funerale mio? Cioè un funerale di un mio parente. Di mio cugino metti. No. Di mia nonna. No, no. Di mio padre. Riuscirei a guidare, starei qui con lo stereo a palla e una birra nel porta bevande? Che viaggio sarebbe? Che fine farebbero gli arrivi e i saluti? Cosa diventerebbe la nostalgia, la bellezza dei luoghi familiari e la speranza di vederli?
Ebbi paura per tutto ciò che rendeva bello il viaggio verso il mio paese. E ad un certo punto pensai lo stesso per la vita intera: e se tutte le cose belle si rivelassero un giorno cose diverse… se tutto ciò che rende la vita affascinante diventasse cattivo, distruttivo? Se tutte le cose buone diventassero cose cattive? Chiamai Andrea e gli parlai della mia idea: raccontiamo in qualche modo quello che succede quando vedi il mondo alla rovescia; facciamo diventare la speranza, l’amore il successo delle cose brutte e cattive e troviamo una soluzione. L’idea iniziale e confusa nacque così e siamo riusciti, credo, a farla diventare un disco.
Mean and Proud (Beauty)
Marco: Un brano nato con grande spontaneità, almeno da quando siamo passati ad arrangiarlo a partire da un giro di chitarra. Tutto si è incastrato in modo naturale e veloce, e a sentirlo non sembra. Anzi, sembra tutto studiato e costruito con pazienza. È un brano lungo, averlo scelto come singolo può risultare ambizioso, eppure è il brano che arriva con più immediatezza. È anche il brano del nostro nuovo video, un biglietto da visita: ecco, questi siamo noi e questa è la nuova direzione che abbiamo preso.
Andrea: Mi ricordo l’emozione di vedere il video proiettato per la prima volta a Le Mura a un nostro concerto a capodanno. Con Francesco dicevamo che passo dopo passo erano accadute tante cose e che il lavoro, l’amicizia e la creatività condivise erano concrete, una piccola magia.
Sooner or Later (Time)
Matteo: quando ho sentito il provino per la prima volta, praticamente identico a come poi abbiamo arrangiato il pezzo, la melodia finale della chitarra mi si è attaccata addosso, l’ho canticchiata per 2 giorni di fila, ed è il pezzo del disco che forse ho sentito di più durante la realizzazione, forse anche perché era il primo nel cd di provini che ascoltavo in continuazione.
Argonauts (People)
Matteo: non so suonare la chitarra, ma francesco e daniele mi hanno lasciato a casa una rickenbacker, e non potevo non suonarla. E’ un pezzo scritto per la voglia di suonare una rickenbacker. Ho scritto una strofa un bridge e un ritornello e sono stato un mese a pensare “come la finisco?”, avevo una paura incredibile di rovinarla, è stata la prima volta che mi piaceva veramente un pezzo scritto da me, e così è rimasta ferma per mesi e mesi. Poi con gli altri ho capito che era finita, che non serviva altro, e sono riuscito a far passare un cambio di accordi che ero sicuro sarebbe caduto nell’arrangiamento definitivo! E il testo, un racconto di Elena, la mia ragazza, che ci ha aiutato a scrivere alcuni testi: la felicità di lavorare insieme a lei sarà sempre un ricordo bellissimo.
The Stool (Hope)
Francesco: il ricordo del momento in cui è nato questo pezzo è confuso: una parte è frutto di un mio momento pop su cui Daniele ha canticchiato un temino che ci ricordava una vecchia canzone cantata da Mina. Dopo l’ennesimo litigio tra me e Daniele abbiamo buttato giù un provino totalmente d’istinto. Poi l’abbiamo portato a Matteo a cui è piaciuto subito tantissimo, forse più che a noi, e siamo riusciti a dare una forma a questa iniziale sensazione di confusione. Ne è venuto fuori un pezzo costruito con pazienza e lavoro, soprattutto con la pazienza di convincere alcuni di noi che fosse veramente bello.. ce n’è voluto, ma credo ne sia valsa la pena. Per me è il pezzo più denso del disco, anche il più complesso e meno immediato.
Matteo: la linea vocale del ritornello è nata in un momento veramente improbabile, durante una cena in una casa al mare: mi sono fatto prestare un cellulare per registrare la melodia per paura di scordarmela. poco a che fare col nostro immaginario di boschi e montagne, ma è andata così… Il testo mi incuriosce tantissimo, un suicidio mancato, la paura di fallire anche nel cedere al fallimento, la speranza di smettere di sperare, un testo scritto tutto in macchina, sentendo il pezzo a ripetizione. Una frase doveva essere su un incidente in macchina, ma ogni volta che pensavo a come chiuderla mi prendeva l’ansia e rimandavo.
Emanuele: in studio eravamo rimasti solo io e Matteo a registrare la voce, l’ultimo giorno, gli altri partiti o a dormire, gli occhi che bruciavano dal sonno, davanti al mixer, con le luci abbassate per trovare l’atmosfera giusta, all’Igloo, a notte fonda. La stanchezza più feroce è stata la chiave per capirne la giusta interpretazione.
Solid Land (Nature)
Marco: è dispari, a tratti, come la natura. Stavolta una natura insensata. In quei giorni Giacomo, il nostro produttore, se ci chiamava era per cazziarci amabilmente. Quella volta no. “Ragazzi, ma che suoni c’ha Nature? Dei suoni della madonna! Un pezzone!”
Daniele: durante la registrazione all’Igloo Factory speravamo di riuscire a chiudere tutte le chitarre, ma la parte di ebow di questo pezzo è rimasta fuori. Ci sono rimasto malissimo, non vedevo l’ora di registrarla là, e ho temuto che la parte sarebbe stata eliminata. Rientrati a Roma l’ho registrata da solo a casa prima che Francesco potesse pensare di tagliarla!
Black Fire (Trust)
Emanuele: un brano che funziona senza bisogno di nessuna apertura ritmica o melodica di solito è un brano riuscito.
Andrea: c’è stato un concerto in cui Marco non poteva essere dei nostri. Mi ricordo di aver dovuto rifare la sua parte. Mi sembrava di tirare giù gli accordi di un pezzo famoso. E alla fine c’è questo, che sono sempre stato invidioso, in senso buono, di questo gioiellino.
Tales from 1946 (Love)
Emanuele: è la canzone più vecchia del disco, appartiene quasi più a una nostra identità passata, e forse si sente. Eppure è la prima creatura dei nuovi Mamavegas, la prima canzone in cui ognuno ha messo del suo, inaugurando una stagione di lavoro simultaneo a sei teste. Il testo parla del nonno di Francesco e dei suoi problemi con il vivere civile al rientro dalla guerra.
Daniele: dopo i primi 2 giorni di registrazione produttivi e entusiasmanti la tecnologia ci si è rivoltata contro: ci siamo svegliati una mattina scoprendo che andavano rifatti tutti i bassi, che un pezzo intero e buona parte delle batterie erano perse! Cose che succedono anche nei migliori studi! Sono entrato in studio e ho visto Matteo disperato con le mani nei capelli… Dopo qualche ora di depressione siamo riusciti a recuperare quasi tutto, grazie anche a una magia di Andrea Sologni, ma si è persa definitivamente una take di batteria di questo pezzo. Ne avevamo altre, buone, e siamo andati avanti così, ma c’è rimasta la sensazione che QUELLA take fosse perfetta, che il suono di rullante fosse migliore, l’esecuzione irripetibile…
Winter Sleep (Faith)
Matteo: mi ricordo che cercavo disperatamente una melodia per le strofe in un viaggio in bicicletta in Germania, compulsivamente, non parlavo più per ore. un giorno mi sembrava di averla trovata; mi concentro come un pazzo per ricordarmela, appena possibile la scrivo. Torno a Roma e scopro che Emanuele ne ha scritta una praticamente identica; si vede che era quella che ci voleva…
Francesco: l’abbiamo registrata in un ambiente diverso dello studio, in questo salone gelido con una decina di maglioni a testa, questa batteria minimalissima con questo microfono gigante appeso sopra. Registrarla è stato così bello che Matteo in quel momento ha deciso che, appena tornato a Roma, avrebbe comprato quello stesso microfono.
Andrea: nessuno ci credeva. Questo è il pezzo d’amore con Matteo. E’ lì che ho capito che non ci saremmo mai traditi. E’ tutto partito da un gioco tra chitarra e synth, il resto ha preso vita da sé.
Self-Portrait in Four Colours (Happiness)
Andrea: in qualche modo è davvero un autoritratto anche se non voleva essere necessariamente autoreferenziale. E dentro c’è l’amore per gli Efterklang, e il bello è che accade senza vergogna. Mi piace come la canta Emanuele, ma non arriverà mai ad avere la quieta disperazione necessaria che potrebbe tirare fuori, che so, Morrisey o Anthony Hegarty. Ma ok. Va bene così. Il titolo provvisorio per mesi è stato Efterklang e si intuisce facilmente il perché.
Marco: il progetto su cubase del provino era un delirio! mi spaventava sempre e pensavo “non lo finiremo mai!”
For the Bad Things (Hymn)
Daniele: é un vecchissimo pezzo mio e di Francesco, il tipico pezzo che sembra funzionare ma che non riesci mai a chiudere. Risuonandolo dopo cinque anni lo abbiamo trovato perfetto per il disco che avevamo in mente. L’idea del coro è piaciuta subito a matteo, che forse aveva già in mente l’arrangiamento, che è venuto fuori in un momento. da lì a trovarci con 40 persone in studio a realizzare il coro il passo è stato breve.
Francesco: ogni volta che la ascolto sono sicuro di aver concentrato la mia idea di questo disco nel suo insieme in un unico brano. La semplicità e la paura sono il cuore di questo pezzo e mi tremano le gambe.
Andrea: alla mia morte per favore mettetela in diffusione. Insomma tra un paio d’anni ricordatevi di questo articolo.
Our Love (Tales From Today)
Daniele: Giacomo ascoltando questo pezzo ci fa un cazziatone: troppa roba, troppe parti. Ma la sua ramanzina parte da un’incomprensione, tanto che prova a convincerci a sistemare la struttura esattamente nel modo in cui la volevamo anche noi. Perfetto.
Mamavegas: Qui ci siamo tutti, il testo l’abbiamo scritto quasi una riga per uno e l’abbiamo rimaneggiato cento volte. Questi siamo noi. Senza la condivisione non avremmo fatto nulla. Le cose cattive noi le abbiamo digerite mettendo in comune il meglio. È il brano conclusivo, l’occasione per cantare tutti insieme e congedarci. Ci vediamo in giro.
Se poi andate di fretta e boh, non avete tempo di leggervi e ascoltarvi tutto… nessun problema: ecco il disco compresso in 2 minuti e 58 secondi. Non avete più scuse ora.