Metti caso che ci sia questo gruppo fighissimo che negli anni zero ha spaccato svariati culi e che chiunque avesse un myspace dovesse decidere se amare o odiare.
Metti poi che il gruppo in questione faccia una sorta di flop e allora sparisca per un po’ e tutti lo diano per spacciato e poi invece se ne torni dopo qualche anno semplicemente dicendo: “heylà! indovina? siamo tornati!”
Riuscireste a parlarne senza ricorrere a paragoni con il passato?
Stiamo ovviamente parlando degli Amari e del loro nuovissimo Kilometri, uscito la scorsa settimana a quasi 4 anni di distanza dall’ultimo Poweri.
Chi scrive non ha mai avuto myspace e tutto quel che sa sugli Amari lo ha appreso leggendo l’intervista concessa a Shaq la scorsa settimana.
E allora perché chiedere a me di parlarne? Perché un disco non è solo strascichi di fama o di pregiudizi sulla mano che l’ha composto ma è un’opera che deve funzionare nel contesto in cui si propone. E allora ogni tanto fa bene non sapere nulla del suo autore.
Kilometri è fatto di nove tracce di synth pop delicate ed evanescenti, in cui a farla da padrona sono i testi.
Così descritto il disco sembra senz’altro figlio del suo tempo, nel senso che il synth pop è il genere del momento e i testi in italiano sono pressoché obbligatori. Scorrendo in rapida rassegna le uscite dell’anno passato e quelle preannunciate per i prossimi mesi, sembra, infatti, che senza un korg non si possa più entrare in uno studio di registrazione.
Certo che se i friulani lo facevano già 10 anni fa… WOW! Era avanguardia!
Le scelte stilistiche sono frutto di una certa classe, le melodie sono costruite nel dettaglio, gli strumenti duettano con l’elettronica con assoluta naturalezza e le ritmiche rimangono soffuse. Per capirci: niente cassa dritta, al più soffusi battiti quasi cardiaci a scandire armonie radiofoniche e incisive al limite del virale. Un contegno quasi bon ton ma mai noioso.
Per quanto attiene ai temi affrontati, ogni artista pop sviluppa una sua tematica ben precisa, tendando di creare un immaginario che possa contrapporsi o affiancarsi a quelli dei suoi colleghi.
Come gli stessi Pasta e Dariella hanno dichiarato all’omone nero, questo è un disco che è nato dai testi, la cui centralità è evidente a qualsiasi orecchio neofita che vi si approcci.
A differenza degli altri protagonisti del pop indipendente, però, dal disco degli Amari si evincono alcune caratteristiche biografiche piuttosto peculiari: non sono universitari, non fanno l’erasmus, non si ubriacano agli angoli delle strade, non si innamorano delle ragazze in leggins. In altre parole: non hanno vent’anni.
Tutt’altro, gli Amari hanno comodamente superato i trenta e se pensate che ciò comporti la fine del porsi delle domande siete degli ingenui.
La ricchezza di questo disco sta proprio in quella visione adulta, pacata ma splendidamente lucida di una realtà quotidiana fatta di fatiche e luoghi comuni, ne più ne meno di quella di uno studente fuori sede.
Solo che a suscitare riflessioni e dubbi ci si mettono le relazioni, quelle serie, le scelte di vita, la routine del quotidiano e degli amici che rimangono sempre gli stessi, il confronto con l’età adulta e i luoghi comuni di chi ci è arrivato ben prima di te.
Così ecco Ti ci voleva la guerra: la frase dei vecchi al bar che diviene pretesto per confrontarsi con il fare piuttosto che col lamentarsi, relativizzando la portata di quelli che ogni giorno definiamo presuntuosamente drammi.
Interessante ruolo è rivestito dal tempo: quello che è passato e che inizia ad essere degno di rispetto ma anche il sentore, forse per la prima volta, che non ce ne sia a sufficienza per continuare a giocare. Non fraintendetemi, non si parla di morte, si parla di vita semmai, di accorgimenti per crescere e non semplicemente invecchiare.
Su tutti, il singolo che ha anticipato l’uscita del disco, Il tempo più importante, con il suo portato di ricordi agrodolci a mostrare una diversa considerazione delle priorità, ma anche Aspettare aspetterò, a difendere la possibilità di scegliere il senso da dare alle proprie giornate, e Rubato, dove il tempo diviene una risorsa preziosa da difendere e da cui imparare.
In ogni disco che si rispetti, poi, devono esistere un paio di brani capaci di catturare l’attenzione di chi ascolta, senza se e senza ma. Kilometri non fa eccezione e contiene due tracce eccelse per quanto diverse tra loro.
La prima è Africa, provocatoria ed accattivante analisi della Provincia come luogo mentale più che geografico. Forse è il brano più strumentale del disco, schitarrato come intorno ad un falò.
L’altra, decisamente la mia preferita, è la title track Kilometri. Un mood figlio dei ’90 è ambientazione di una splendida metafora tra lo spazio, il tempo e le pagine di una storia di vita scritta solo in parte. Una canzone d’amore a tutti gli effetti, struggente e di rara maturità.
Insomma, un disco che si insinua nelle orecchie con musichette efficaci e mai fastidiose per innescare considerazioni non scontate: io non lo so come fossero i precedenti lavori degli Amari, ma questo si è meritato un altro play. L’ennesimo.