Il primo disco di Alì si intitola “La rivoluzione nel monolocale” ed è uscit0 lo scorso 19 Gennaio. Dopo avervelo recensito, abbiamo fatto due chiacchiere con Stefano.
1. Quando hai capito la tua esigenza di muovere i primi passi nella musica dato che facevi un lavoro molto singolare e bellissimo come il fioraio? Quali sono le tue ispirazioni, i gruppi o singoli cantanti che ascolti maggiormente e ti tirano su quando sei triste?
In realtà non ho mai ben capito con esattezza il motivo che mi spingesse a suonare, l’esigenza è nata perché forse era l’unica cosa che riusciva a gratificarmi e a farmi stare bene sul serio. Non ho mai avuto grandi passioni al di là della musica ascoltata piuttosto che suonata. Intorno ai 16 anni mi accorsi che strimpellare una chitarra scrivendo un paio di frasi mi estasiava, magari erano solo cagate immense… ma perlomeno mi stimolavano e rendevano felice. Detto questo, ho sempre fatto convivere (più per necessità che per altro) il lavoro e la passione, ho svolto l’attività di fioraio per 5 anni che purtroppo non per mio volere ho dovuto cessare: l’azienda con la quale lavoravo ha avuto la brillante idea di lasciarmi a casa per cui mi sono detto: corro a fare il cantautore, l’artista di turno, del resto credo che essere disoccupati stimoli l’aspetto creativo.
La musica che mi piace ascoltare è molto varia, non ho un genere preferito, per me è tutta POP MUSIC. Ultimamente sto ascoltando gli Efterklanf, i Dirty Projectors, Josè Gonzàlez, Alessandro Fiori e tanti altri. Quando sono triste metto su Fire Eye’d Boy dei Broken Social Scene.
2. Il tuo disco è stato prodotto in Sicilia, ma mixato a Bologna. Perché hai deciso di restare in Sicilia e di non andar via come fanno tutti gli altri, magari in una città più grande e con più spazi e (diciamo) possibilità?
L’idea di andare via definitivamente non mi entusiasma, e ovvio che dovrò spostarmi parecchio per portare in giro questo disco ma preferirei avere sempre come base la mia regione. E’ difficile, i viaggi sono sempre lunghi ed estenuanti ma la gioia di tornare anche per poco tempo è tanta, non riesco per niente a staccarmi da quest’isola. Sarei disposto a spostarmi solo se riuscissi a trovare un lavoro, un contributo economico tale da poter vivere e nel frattempo continuare a suonare in giro. Purtroppo non si riesce a campare di sola musica, vorrei tanto, ma non è così. Credo che l’unico vantaggio sia logistico, se vivessi a Roma gli spostamenti sarebbero più umani. Chissà: forse in futuro cambierò idea.
3. Come hai scelto il titolo? Cosa rappresenta per te un posto come il monolocale?
Il monolocale per me rappresenta una condizione forzata, l’unica possibile, non è stata una mia scelta viverci. Ti assicuro che preferirei vivere in un appartamento normale almeno di 90 mq. L’unico titolo che veramente rispecchiava il disco era questo, è il luogo che vivo di più, la composizione dei testi e delle musiche è avvenuta fra queste 4 mura, insomma la mia piccola rivoluzione è un augurio a me stesso, uno stimolo a fare meglio nei confronti della società odierna.
4. Cosa pensi della scena alternativa italiana? Si fa un buon uso di internet come mezzo di diffusione musicale e di contatto diretto?
La scena alternativa italiana credo goda di ottima salute, tutti suonano e tutti pubblicano dischi, ormai è diventata una cosa molto semplice. Del resto se io e te stiamo conversando in questo momento è grazie a questo mezzo di comunicazione. Il problema nasce quando l’offerta è immensa e non si ha più il tempo o la voglia (per assuefazione) di ascoltare, c’è troppa carne al fuoco. Ricordo che fino a 12 anni fa quando riuscivo a comprare un disco ascoltavo soltanto quello e pure per mesi, e se non riuscivo ad apprezzarlo subito mi sentivo in dovere di dargli il giusto tempo. Poi poteva pure non piacermi ma almeno ci avevo provato, oggi non è più così. Confido nei puristi, nei ragazzi vecchio stampo, c’è poco da fare… un disco ha bisogno di tempo e dedizione per essere ascoltato, soltanto alla fine puoi tirare le somme.
5. Raccontaci com’è stato lavorare con Lorenzo, ovvero Colapesce.
Lavorare con Lorenzo è stato uno spasso, ci siamo divertiti un casino. E’ un professionista e un amico, lo conosco da diversi anni e nell’estate del 2011 dopo aver buttato giù le musiche e le parti ritmiche con Roberto Cappellani (co-produttore esecutivo e batterista del progetto) mi è venuta la felice idea di contattarlo per curare i suoni e gli arrangiamenti del disco. Soddisfazione. Successivamente La Vigna Dischi di Paolo Tedesco ha coronato il tutto, ed eccoci qui.
6. Come sono nati i brani, ma soprattutto com’è stato scrivere i testi, è stata una scrittura di getto o ponderata? cosa ti ha ispirato?
L’unica mia ispirazione sono stati i 12 mesi del 2011, in quell’anno lì sono successe delle cose che naturalmente mi hanno costretto a scrivere, senza pensare a cosa volessi fare successivamente ma soltanto la grande e forte necessità di sfogo. La scrittura è stata terapeutica, mi ha aiutato tantissimo. Il tutto è avvenuto di getto: prima le musiche e poi i testi, come un’auto che sfreccia a 200 all’ora in autostrada. Chiaramente le correzioni e la ricerca dei vocaboli più appropriati sono stati il passo successivo.
7. La “domanda che nessuno ti fa ma vorresti ti fosse fatta”?
“Abbiamo sentito dire che Paolo de La Vigna, oltre a dare il nome di un vino ad ogni artista dell’etichetta, da un soprannome giullaresco. Il tuo qual è?”… ovviamente è TOP SECRET.
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