Nel settembre del 1987, quando The Smiths si sciolsero, alcuni dissero “Sono stati i nostri Beatles”. Il fatto che il culto degli Smiths non si sia spento con il tempo, ma se è possibile invece sia sempre più cresciuto è forse la conferma di questa tesi.
Su un punto almeno però il paragone non è del tutto campato in aria. La coppia Morrissey-Marr è stata per il songwriting in generale quello che negli anni sessanta era stata la coppia composta da Lennon–McCartney. Stessa urgenza, stessa volatile ed esplosiva combinazione chimica, stessa voglia di infrangere regole e di scavalcare barriere ed allo stesso tempo grande rispetto per la tradizione compositiva dei grandi del R´n´R, e non solo,
Oltre a questo, provate ad immaginare l’Indie-Rock senza Morrissey e Johnny Marr…
Dopo innumerevoli collaborazioni che ne confermano il genio poliedrico─di queste vale la pena di ricordare quelle con The The, gli Electronic assieme a Bernard Sumner e Neil Tennant, gli statunitensi Modest Mouse ed i britannici The Cribs─un ormai cinquantenne Johnny Marr decide di diventare solista.
Lo fa con un album, “The Messenger” il titolo, che a detta dello stesso Marr è una sorta di prosecuzione, di estensione, del suo lavoro creativo all’interno degli Smiths. Paragonare comunque questo album ad uno qualsiasi della discografia della seminale band di Manchester sarebbe inutile, oltre che disonesto. I punti di contatto sono molti ma ci sono anche novità che sono solo farina del sacco di Marr. La prima sorpresa è sicuramente ascoltarlo nelle vesti di cantante. Il suo stile diretto e funzionale, a tratti direttamente somigliante a quello dello stesso Sumner, serve bene a sottolineare i testi, scritti quasi in forma di slogan, ed è frutto della necessità del chitarrista di comunicare il suo sdegno e la sua frustrazione riguardo al mondo in cui viviamo. Non c’è brano del disco che non sia pieno di osservazioni e considerazioni riguardo allo “stato delle cose”. Il che lo rende ancora una volta battagliero “gemello d´anima” del amico-nemico Morrissey, fatte naturalmente le dovute differenze. Marr, diretto e legittimo erede del agit-rock degli 80, mette in musica dei veri e propri gridi di battaglia, delle chiamate alle armi. Ad ogni modo le canzoni nel loro insieme daranno sicuramente pane per i denti di tutti i puristi che attendevano, forse con scetticismo, questo disco. Brani come “The Right Thing Right”, “Lockdown”, “European Me” e “New Town Velocity” potrebbero tranquillamente passare per perle inedite e dimenticate del repertorio degli Smiths ma sono ben lontane da risultare pigre copie-carbone dei vecchi successi tanto amati. Johnny Marr solista flette i muscoli nelle sue parti di chitarra, oltre ad intesserle con la sapienza e la raffinatezza che sono il suo segno distintivo da sempre e si lascia ispirare dal Pop elettronico, ascoltate quanto è contagiosa “The Crack-Up”, e da certo Funk punkeggiante, come in “World Starts Attack”. Il disco convince già da i primissimi ascolti, e questo è già un gran risultato, e per un po’ non fa rimpiangere il grande passato della sua band d’origine. E fa davvero ben sperare per il futuro. THERE IS A LIGHT THAT NEVER GOES OUT… NEVER!