Ci sono dischi che hanno la straordinaria capacità di infilartisi in testa e non uscirne più. è sicuramente il caso di Ahilui, l’esordio di Setti, raffinato cantautore della scuderia La Barberia, di cui vi avevamo già parlato.
Visto quanto ci piace, (e non solo a noi, La Barberia ha deciso di farlo addirittura uscire in CD, oltre che su cassetta come sempre) abbiamo deciso di chiedere direttamente a Setti (che di nome fa Nicola) di raccontarci quanto più possibile del suo neonato gioiellino. E lui ci ha risposto così. E siccome è un DISCO RACCONTATO®, non poteva mancare lo streaming integrale, così potete farvi la vostra idea liberamente.
Raccontare Ahilui… A me sinceramente piace che ognuno possa dare un proprio significato alle canzoni che ascolta. Perché a me, da ascoltatore, piace fare così. Queste sono dunque da intendersi solo come mie impressioni sulle cose che ho scritto e alcuni appunti su come sono nate. Per prima cosa devo dire che Ahilui è nato dall’incontro con una persona geniale e generosissima quale è Luca Mazzieri. Io ho scritto i provini pensando di registrarlo con lui e i Wolther Goes Stranger e poi l’abbiamo fatto. E’ stato dunque inevitabile che parte dell’immaginario che lego ai WGS si mischiasse con la poetica di questo mio progettino, per non parlare delle ovvie influenze del periodo storico e delle vicende personali. Gli arrangiamenti pensati e realizzati da Luca sono stati belli oltre ogni aspettativa per me. Il disco è stato poi masterizzato da Jonathan Clancy. Ho tentato di scrivere ogni pezzo cercando di mettermi nei panni di un personaggio diverso. Storie vere di persone inesistenti. Infine Il titolo mi pareva si adattasse per molte ragioni.
ZOO
Mi piace mettere nei testi alcuni riferimenti, citazioni, giochi di parole che non svelerò mai salvo alcune eccezioni. Questa è una di quelle: io vengo da Modena e la parola “giù” in dialetto modenese si pronuncia più o meno come il titolo del pezzo. Scrivendo pensavo all’immagine che ci facciamo degli altri, presenti e assenti, amanti e non. Dall’idea di ingabbiare gli altri nella propria testa, dall’ingabbiarsi. Poi mi colpiva l’immagine di uno zoo vuoto. I due ragazzi, lui con la pipa, lei che lo picchiava sul collo, li ho visti mentre ero in coda a un semaforo. Primo singolo, è stato realizzato un video diretto da fotofoglia.
PEZZI
Il brano nasce dalla domanda: “non è che a forza di dare parte di se stessi agli altri poi si finisce per finire?”. Ci ho pensato un po’. Mi sono ritrovato a immaginare una persona che lentamente si disgrega dandosi agli altri. Mi pareva un’immagine surreale, ironica e al tempo stesso drammatica, come il personaggio di Robin Williams in Harry a pezzi di Woody Allen, che si sveglia una mattina “fuori fuoco”. Per il resto sono immagini collegate al concetto. Con un protagonista ormai ridotto a ripetere continuamente “non andare via” e “non lo so”, la solitudine e l’ignoto. Il pezzo contiene la domanda “e se fossi preda di quel che non caccio?” che mi pare riassuma la sua situazione. I cori di Linda dei Wolther Goes Stranger per me sono davvero una cosa stupenda.
SEPPIA
Seppia è l’unico pezzo del disco che era già uscito su un precedente EP. Durante le registrazioni Luca mi ha proposto questo arrangiamento. Io già ero molto legato al brano per varie ragioni ma così ha assunto un aspetto che gli ha dato nuova vita e alimentato l’immaginario. La canzone è di fatto un dialogo tra una coppia di personaggi, al mare, d’inverno, a Rimini. Non vorrei parlare troppo del testo. Montale mi piace moltissimo ma in questo caso si parla proprio di un osso di seppia di grandi dimensioni e di un gabbiano parecchio molesto.
CUGINO
Molti avranno avuto un cugino più grande. Io non l’ho avuto, allora l’ho immaginato basandomi su alcune persone incontrate, o immaginate, e un po’ su me stesso. Il cugino più vecchio da molti consigli ma poi alla fine non sa dove sbattere la testa, o il cuore. E non ha nessuna intenzione di cambiare o comunque non saprebbe da che parte iniziare. L’immaginario che avevo in testa è quello della seconda metà degli anni ’90.
DESERTO
Il concetto di partenza è stato quello dell’inevitabilità di certe cose. Come per esempio ritrovarsi a pensare a una persona in un determinato momento. Magari sai benissimo che ti fa male pensarla ma non puoi evitare di farlo. L’immagine a cui ho pensato è un uomo perso nel deserto: intorno ha il nulla, non può fare nulla ma riesce comunque a perdere tempo. E’ stato il primo pezzo registrato insieme a Luca, il provino della canzone era molto veloce, fu un’ottima idea di Luca rallentarlo e arrangiarlo on questo modo. Il risultato finale mi ha davvero emozionato moltissimo.
KENTUCKY
Ho sparso negli EP finora autoprodotti dei pezzi dedicati ad alcuni Stati degli USA. Io sono stato solo a Boston e Orlando, da piccolo. Dunque diciamo che la mia visione è totalmente astratta. Un gioco, un esercizio ispirato innegabilmente da Sufjan Stevens. In questo caso si parla di una coppia che per quanto possa viaggiare, fuggire da un paese, dalla famiglia, poi si ritrova a fare i conti di tutti i baci che non si sono potuti dare mai. Rimpianti che bloccano. Questo è l’arrangiamento che più si distacca dal provino originale e per me i WGS hanno fatto davvero un lavoro bellissimo su questo pezzo: la chitarra e la voce di Luca, la voce di Linda, l’immancabile trapano e le percussioni di Colla.
GEORGE
Questa parla del sentimento della “non amicizia”. Di come il personaggio vorrebbe essere amico di un’altra persona ma semplicemente non accade. Sarebbe una forzatura, vedono le cose in modo molto diverso e non trovano un “feeling”. Se stanno in silenzio si sentono a disagio. Parla di come questo sentimento sia una cosa normale quanto l’amicizia. Mi pareva un tema interessante da cercare di trattare in una canzone. Il nome George mi sembra molto middle class. Anche musicalmente mi pare la più “tradizionale” e “cantautorale” del lotto.
DINAMICHE
L’ultimo breve pezzo del disco è l’ultimo che ho scritto. Ho fatto sentire il provino a Luca e Giovanni de La Barberia Records durante gli ultimi giorni di lavorazione. Abbiamo deciso di inserirla alla fine. Il titolo me lo ha suggerito Giovanni. Parla delle dinamiche tra le persone, del fatto che “everybody hurts”. La prima frase ha un doppio significato, si presta a un’interpretazione sessuale ma anche a una emotiva. Parla in fondo come siano difficili da descrivere e da capire i comportamenti umani. Per fortuna del narratore, ma anche ahilui.
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