È uscito ieri A Supposedly Fun Thing We’ll Probably Do Again, disco d’esordio degli Absolut Red. I ragazzi vengono da Sasso Marconi ed è un po’ che li teniamo d’occhio. Gli abbiamo quindi chiesto di sottoporsi al nostro discoraccontato®.
1.EMBRYOLOGY
Il primo pezzo del disco, l’ultimo da noi composto. Nato come una ballad dolce e melanconica sull’aborto, questo dialogo tra un feto nascituro e la madre si è progressivamente trasformato in un brano solido e pestato, forse il più piacevole da suonare live. La “scelta di non scegliere” del bambino può essere interpretata in molti modi, non ultimo quello di un errato sviluppo embrionale (“I promise that I’ll study embriology”) del neonato che ne determina la scomparsa prematura: l’happy ending finale è però riservato alla mamma, la cui voce lontana tranquillizza il feto e lo invita a non fare brutti sogni.
2.OCCASION
Una polaroid di una vacanza in Irlanda; le derive dantiste di Montale nella sua seconda, aulica, opera; una sala da tè dove il tempo sembra essersi fermato alla Belle Epoque: tutto converge in uno stream of consciousness sulla necessità umana di amare. Una canzone composta tutti insieme, in saletta, nata da un riff uscito quasi per caso, mentre l’estate finiva e con essa un importante capitolo della storia del nostro gruppo.
3.A LOVE STORY FROM OUTER SPACE
Una storia d’amore ambientata nel Perù anni 80. Due bambini, vicini di casa, trascorrono i pomeriggi insieme. La pubertà si avvicina, il giovane si innamora dell’amica: al gran rifiuto di lei seguiranno anni di rimpianto e di nostalgia per ciò che, in realtà, non è mai accaduto. Si incontrano vent’anni dopo, lei donna e madre, lui adolescente imprigionato in un corpo ormai vecchio: ed è la malinconia del “se” ad avere la meglio. Un brano che vuole essere un’escursione surf-pop sul più classico dei giri armonici, cantando il dolcissimo sapore del passato che non tornerà.
4.NINETIES’ CALL
Questo brano nasce come regalo di compleanno per una persona che è nata l’ultimo giorno di estate e narra – con un sottotesto da “sindrome dell’età d’oro” – ciò che sono stati gli anni 90 per le persone che vi hanno vissuto ma, ancora inconsci di sé e del mondo circostante, ricordano solo sensazioni e piccoli flash di un mondo a loro non appartenente. Una celebrazione ed un commiato da chi cerca di fuggire dal presente e rifugiarsi nel passato. E’ un brano con un sacco di cambi di tempo e originariamente suonato in versione diamonica, chitarra acustica e voce. Il verso “Today summer ends, let’s try to pretend that I’m not nostalgic of my childood and of the youth that’s yet to come” può assurgere tranquillamente a manifesto morale del disco.
5.SUNDAY
Tranquilla mattinata di un aprile di fine millennio in Colorado: esterno giorno, scuola media di Columbine. Eric e Dylan, due studenti appena diciottenni, entrano nella scuola armati fino ai denti: uccidono 13 persone, poi si sparano reciprocamente. La strage narrata dal punto di vista dei due killer, il loro amore inconfessabile, la follia. Brano che crea una forte contrapposizione tra la spensieratezza pop dell’arrangiamento e le crudeltà descritte. La genesi di questa canzone è fortemente cinematografica: il testo è infatti ispirato e fortemente influenzato da “Bowling for columbine” di Michael Moore e “Elephant” di Gus Van Sant.
La domenica del titolo rappresenta il giorno prima della strage, metaforicamente il momento antecedente ad ogni atto potenzialmente rischioso, quello in cui tutti ci chiediamo: “were we making the right thing? Were we making it right?”
6.LIFE IN BLACK AND WHITE
La più anziana tra le canzoni del disco, ricordo vestigiale di quando ancora giocavamo a fare gli Strokes. Un bambino, per colpe a noi ignote, finisce in un carcere minorile. Le chiacchierate col secondino, le rare visite della mamma e la ciclicità monotona del tempo. Il buio della cella gli induce pallore e cecità ai colori, peculiarità infantile che, una volta curata da adulto, diventerà sintomo di malinconia: una vita sprecata. Anche in questo brano il leitmotiv della nostalgia è molto forte; ma qui si tratta di una nostalgia depressa, amara, che viene freddamente raccontata in terza persona. Quando il locale dispone di proiettore, mentre suoniamo fungiamo da schermo: in questa canzone ci proiettiamo addosso il finale de “I 400 colpi” di Truffaut, la celeberrima scena in cui il bambino corre e vede per la prima volta il mare. Il suo sguardo pieno di malinconia guarda in camera, e poi l’enorme scritta FIN.
7.BATHROOM WHISTLING
Il walking bass e lo spensierato fischiettio celano un segreto d’infanzia ricorrente nei suoi sogni: l’amore omosessuale in una lontana estate scolastica, ricordo tanto dolce quanto doloroso. Un piccolo cortometraggio che narra il rimpianto di un amore che non tornerà. La struttura della canzone è fondamentalmente divisa in due: una prima parte, ritmicamente sostenuta, ambientata nel presente, ed un lungo flashback lennoniano che sconfina in un rovente luglio marittimo degli anni settanta. In coda al brano, una piccola appendice onirica nata in una notte di mix, che all’epoca intitolammo “Come abituarsi ad indossare l’orologio”.
8.AFRICAN SAVANNAH
Canzone con una genesi molto particolare, si erge idealmente in chiusura a dichiarazione di intenti dell’album intero. Il brano con cui, solitamente, apriamo i nostri concerti. In esso, in maniera più o meno confusa, fanno la loro comparsa i wannabes infantili (una tredicenne emulazione di kobe bryant), i pomeriggi persi, l’impotenza dell’uomo nei confronti del fato, l’eternizzazione del presente a scapito di un futuro ormai inesistente. Ed, infine, le occasioni perse, e che non torneranno mai più.